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di Giorgio Cipolletta
Dal 2 all’11 Ottobre nella città di Macerata si è svolta la seconda edizione di DeFigura a cura di Teatro Rebis, per la direzione di Andrea Fazzini e all’interno di un progetto pilota Youbiquity (Moltitudini Connesse), il numero zero di un “nonfestival” capace di “vagare” all’interno di altri festival presenti nel territorio marchigiano.
DeFigura è la chiusa “romantica”, “teatrale” “performativa” che raccoglie i semi di questo percorso che scende nel profondo fino sotto la vena nascosta, sottotitolo della manifestazione riferito all’ultimo lavoro della filosofa Rubina Giorgi. Questa vena diventa aurea, sepolta, palpitante, respirando fin dentro i nascondigli del cervello-mente, dove persino il vuoto necessita del palco per il visibile, per la scena tra esistenza e inesistenza, dove geografie dell’assenza si riempiono di essenza. Questo immaginario rivela un territorio complesso nell’ambito del quale l’evento DeFigura ha avuto il coraggio di provare a celebrare l’invisibile, il taciuto, il nascosto, l’innominabile, attraverso i linguaggi dell’arte.
Dieci giorni ricchi di eventi hanno portato la città a recuperare in un certo senso un diverso modo di ricercare.
Il calendario degli appuntamenti ha inizio al Lauro Rossi con l’artista performer svizzero Yann Marrussich che attraverso il suo lavoro Blessure (ferita) attiva un percoso esteriore ed interiore sul filo dell’immobilità e del movimento. Al centro dello spazio un divano rosso, a terra un tappeto di piume su cui il corpo di Yann è disteso (leggerezza e pesantezza). Lentezza, dolcezza, impercettibiltà sono stati gli ingredienti che hanno mescolato la lunga performance dell’artista svizzero dove si sono liberati tempi e spazi in direzione di luoghi sconosciuti.
Blessure si è rivelato con la sua potenza un corpo a corpo con lo spettatore nel suo movimento interiore e un viaggio individuale nell’esperienza collettiva della partecipazione accompagnato dalle note musicali dell’artista Juliee Semoroz.
A seguire, nei giorni successivi, un intenso workshop diretto dall’artista svizzero è dedicato all’assolo performativo inteso come disciplina a parte con le sue proprie regole, le proprie costrizioni, soprattutto una libertà difficile e una lotta continua con se stessi. I partecipanti hanno avuto la possibilità di sperimentare un’esperienza profonda in rapporto con il proprio corpo e con l’interiorità per poi rappresentarli in una performance conclusiva, dove ognuno ha messo in atto il proprio assolo in maniera libera, esaltando la propria esperienza individuale e la ricerca su sè stesso.
Dalla performance all’assolo fino ad arrivare ad un’altra esplorazione privata intima emozionante e pulsante come quella di Frediano Brandetti. Negli spazi suggestivi dell’Ex-Mattatoio l’artista italiano, attraverso i due suoi lavori Pozzanghere e Persone, è riuscito a consegnare un grado di intimità dis-velata ed una cifra stilistica poetica sulla memoria e sulla perdita, traducendo il cuore in sobbalzi e respiri
se mi guardo vedo quello che ero galleggiare, memoria galleggiante / parola galleggiante, attraverso consapevole la distruzione, attraverso inconsapevole la costruzione / se mi guardo vedo quello che sono galleggiare (Frediano Brandetti, da Pozzanghere).
Pozzanghere rivela con potenza il riemergere di una memoria, tra un restauro e un crollo, che contemporaneamente galleggiano sulla memoria e nel deserto della coscienza dove i ricordi affondano come chiodi su un burattino di legno. Ugualmente intenso è stato il lavoro Persone dove gli spettatori sono stati invasi dal peso del proprio corpo, il peso della terra consegnata dall’artista e altrettanto doloroso e pesante è stato l’atto dello svuotamento e della perdita, in un continuo vagare vagare e ancora vagare fino a perdersi e stringendo a sé sia il peso del buio che quello della luce.
dove siamo / vagare – senz’altro / spettatori di sé / persone – perse – senza saper d’esserlo / persone / perse / perso’ / perso pe(r)so / r / peso / uovo-memoria e lacerazione / atto come perdita / parola come perdita / convivenza della vita con la perdita / bilancia di luce e di buio / stringere a sé il proprio peso / seminare-raccogliere-accogliere la perdita. (Frediano Brandetti, da Persone).
Il raduno nazionali degli artisti della scena ha avuto luogo presso la Sala Castiglioni della Bibliotaca Mozzi-Borgetti. Il filo legante di questo incontro è stata la Nota fantasma, dove Claudio Morganti, Patrizio Esposito ed Enrico Piergiacomi, coordinati da Attilio Scarpellini, si sono confrontanti proprio sulla ricerca di quella zona fantasmatica che lega oggi il contemporaneo. Proprio partendo dalle note fantasma, ossia quelle note non suonate, ma siglate su ogni pentagramma tra parentesi o con una X come note mute o morte si è evocata una ricerca mobile, polifonica per risorgere da un equilibrio precario, invisibile, ma presente nel quotidiano delle arti. Il termine nota fantasma viene utilizzato anche in psicoacustica rappresentando la somma delle frequenze delle note “reali” e diverse di due strumenti che suonano simultaneamente, generando un suono estraneo, appunto fantasma. In questa cornice si è provato a ragionare sull’esigenza e l’emergenza di tradurre questo spazio di assenza-presenza fantasmatica (matrice viva) per recuperare il nascosto del contemporaneo consentendogli di esplodere sul palcoscenico del teatro e nel corpo.
DeFigura è stato anche questo una rivelazione di un diverso grado di esistenza dove il teatro diviene palcoscenico dell’esistenza umana e la performance l’azione illuminante di un percorso intimo. Morganti, Esposito, Piergiacomi si sono intervallati con i commenti di Scarpellini e le domande del pubblico per intrecciare una trama differente di significazioni e soprattutto per far risuonare il non detto:
Labbro sapeva / Labbro sa / Labbro lo tace fino in fondo. Celan.
Al termine della conferenza Patrizio Esposito, con i due lavori proposti in giorni successivi: Esterno ed Interno è stato capace di mescolare linguaggi differenti e azioni che di solito non appartengono alla funzione ordinaria, come ad esempio quella di una macchina scavatrice. Esposito proprio nel primo lavoro è stato capace di ridare una “nova vita” ad uno scavatore, sradicandolo dalla significazione operativa e trasformandola invece in qualcosa di altro, di vivo, danzante, delicato, quasi sottovoce. Con Interno, Esposito ha illuminato invece da lontano ad intermittenza un paesaggio di campagna, il contesto del fuori e del dentro viene tradotto in maniera romantica, accendendo il dentro di ognuno e riscaldandolo con un bicchiere di vino rosso in una partecipazione esperienziale tra installazione e performance.
DeFigura conclude il suo percorso con un workshop intensivo sul Macbeth di Shakespeare condotto da Chiara Guidi (Societas Raffaello Sanzio) dal titolo Nulla è per me tranne ciò che non è. Nell’opera shakesperiana è proprio la parola ad evidenziare sotto un’altra luce la materia, lo sguardo a ciò che non si vede, ma nonostante tutto presente nella sua forma. A partire dalla voce, la Guidi ha tentato di porre l’attenzione sul grado di interpretazione dove è lo sguardo che attiva il vibrare della voce, emergendo dal nascondiglio dell’invisibile per sussultare nella realtà attraverso il corpo.
DeFigura: ombre che saltano via dalla figura, silenzio nella nota fantasma, scorre il sangue vivo palpitante della ferita per una ricerca scomposta sotto la superficie della vena nascosta. La logica della sensazione si diluisce in un meraviglioso e coraggioso atto di rubare quel territorio nascosto che mescola la vita e la morte. Le ombre pulsano vive, si sentono e respirano. Defigurando vaghiamo nel palcoscenico, compiendo un incredibile e prezioso viaggio nell’esistenza umana, ciò che rimane è corpo defigurato, turbamento, stupore, l’attimo prima, il non detto che scorre sulle labbra e tace nel fondo ma rivela: uscimmo a riveder le stelle.