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di Maria Silvia Marozzi

Ambiguo, obliquo, mellifluo, e anche un po’ ubiquo sembra essere, con le dovute cautele e in parte, l’ uomo moderno: il concetto di sessualità espanso, la patina di paillette che sempre più ricopre discorsi, anche pubblici e, naturalmente, il mondo virtuale in cui abbiamo riversato parte della nostra identità.

Anche tali cambiamenti rispondono al significato di “crisi”, molto più che la sua declinazione puramente economica. E prima di questi cambiamenti, certe idee sembravano impossibili da veder realizzate. Poi è arrivato il caos critico che ci ha come sputati fuori dai palazzoni figli del boom economico e rimessi di nuovo in strada, costretti così a chiederci dove inventarci qualcosa. Abbiamo capito che l’unico luogo in cui inventare, è necessariamente un non luogo. In una realtà in cui gli spazi fisici sono saturi, è la mente, e con essa la tecnologia, a dover sfondare le barriere dello spazio. Certo, è necessario che essa scovi i giusti passages metacorporei (si chieda a Giorgio Cipolletta in http://www.rivistadiscienzesociali.it/passages-metrocorporei-giorgio-cipolletta/), per esempio quello urbano inutilizzato, quello delle arti che si compenetrano, delle incursioni digitali nel paesaggio sonoro a cui siamo abituati. Insomma, quell’editoria indipendente dei sensi che, procedendo oltre la ratio, riesca a scorgere il contenuto del bicchiere, prescindendo dal suo essere solo mezzo pieno o mezzo vuoto.
Youbiquity è un invito inconfondibile del Teatro Rebis a cura di Andrea Fazzini: che arrivino nuovi editori per nuove sensorialità, in questo nuovo nuovo mondo, dove, come dice Massimo De Nardo, “l’ubiquità distrugge il tempo e per questo noi abbiamo scelto la contemporaneità nostra nel tempo, anziché il suo essere contemporaneo a noi”.
La moderna tecnologia può ubicare stessi prodotti in più punti. Se questo è vero, vale la pena tentare: http://youbiquityfestival.wordpress.com/.