Tag

, , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

La compagnia

di Gianni Lorenzetti

Con la grattugia ingoiata quando era bambino, Chopas intona l’apertura, voce rugginosa, carta vetrata mattutina, pensando al caffè di Sereno è, incipit sconvolgente che rassicura sulla qualità dello spettacolo, ma non su quella degli ultimi trent’anni della nostra storia. Così inizia Ragionar cantando, canzoni e canzonette, terza parte del trittico della Storia cantata scritta da Piero Cesanelli e Carlo Latini, che dopo Raccontar cantando e Protestar cantando analizza il periodo storico che va dagli anni ottanta fino al duemila. Una produzione targata Musicultura, una storia in pentagramma, scrollata dalla naftalina della memoria per essere rinfrescata e affrescata di nuovo, rivissuta, come è avvenuto l’altro ieri sera a Recanati per la chiusura di Lunaria, in una piazza Leopardi farcita di tremila persone. Una storia da ripercorrere per capire come si è arrivati a questo punto, una storia contorta e appannata, una storia di illusioni e finzione, dove, come viene raccontato nello spettacolo dalle voci narranti di Giulia Poeta e Maurizio Marchegiani, “a partire dagli anni ottanta, con l’avvento delle televisioni commerciali, si è iniziato a mescolare pubblico e privato, anzi, quello che era privato, intimo, improvvisamente ha iniziato a fare spettacolo, a diventare pubblico”. Ecco il grande inganno, svelato subito da Sereno è, dal fischiare di una moka, dall’odore di caffè che Chopas, una delle voci e chitarra de La Compagnia di Musicultura, intona in apertura di spettacolo. Una voce che raschia, la carta vetrata nell’anima del pubblico. Così sin dall’inizio si capisce che qualcosa di certo non va in questa poesia che è la storia del mondo, un mondo mezzo scaduto, da riciclare in altre mille illusioni. La ruggine vocale d’apertura, una voce che è il cuore di un miracolo artistico, quella di Simone Ortolani, Chopas appunto, apre le danze alla finzione che gli ultimi trent’anni hanno prodotto. Le contaminazioni internazionali, Reagan presidente, il disastro di Chernobyl, la Perestroika, Gorbaciov, Giovanni Paolo secondo che incontra Fidel Castro a Cuba, intrecciati a Woman in love di Barbara Streisand, a I Just Call To Say I Love You di Stevie Wonder, Sting e i Police, a Que sarà di Chico Buarque, a Il cielo d’Irlanda, alle sporcature di un mondo in eterno conflitto, al crollo del muro di Berlino, alla storia italiana di quegli anni, da Lima al generale Dalla Chiesa, per scivolare su Falcone e Borsellino. Le voci che cantano si alternano, sono tante, a Ciascuno il suo direbbe Sciascia, così, oltre Chopas, tocca ad Andrea Casta, anche bravissimo chitarrista, a Valentina Guardabassi, Alessandra Rogante, Francesco Caprari ed Elisa Ridolfi. La bellezza vocale degli interpreti, ed i loro punti di forza, sono anche messi in risalto da arrangiamenti accurati e divertenti, eseguiti magistralmente dal resto de La Compagnia, ovvero dall’inarrivabile Adriano Taborro alla chitarra, violino e mandolino, Paolo Galassi, basso e mandolino, Riccardo Andrenacci alla batteria e percussioni, Marumba, keyboard e piano, Tony Felicioli, sax e flauto. Ovviamente de La Compagnia fanno anche parte i già citati narratori, Giulia Poeta e Maurizio Marchegiani , oltre ad Andrea Pompei, fotografo e curatore di tutte le immagini video e fotografiche presenti nello spettacolo. Poi i successi italiani nello sport, Mennea e Simeoni alle olimpiadi di Mosca dell’ottanta, i mondiali di spagna 1982 e l’inevitabile Leva calcistica della classe ’68. Ad un tratto la narrazione quasi subisce un po’ di nostalgia, ci si guarda indietro, si pensa agli anni settanta, e dal palco prendono vita le note de Il rock di capitan uncino, per poi iniziare a vivere completamente gli anni novanta, con tutte le perle delle collaborazioni musicali, come quella tra De Gregori e Zucchero, che diede vita a Dimante, canzone che non poteva mancare, per passare poi a Lucio Dalla e Samuele Bersani con la bellissima Canzone, impreziosita molto dalla voce di Elisa Ridolfi. Un vuoto in quegli anni venne lasciato da grandi perdite, come quella di Lucio Battisti, ricordato con una toccante esecuzione di E penso a te, e di Fabrizio De Andrè poco dopo, al quale ha prestato la voce Alessandra Rogante in Kohrakanè. Poi si arriva ai giorni nostri, alla scomparsa di Whitney Houston, all’immancabile I will always love you e ad una chiusura di classe, con l’arrivo sul palco di Piero Cesanelli, che ha cantato una sua vecchia canzone, Se ne è andato Michele, dedicata a Michele Tarducci, detto Michelino, ragazzo recanatese molto conosciuto, votato all’arte e alla musica, che morì tragicamente in un incidente stradale negli anni ottanta. Non solo, infatti la chiusura vera e propria è stata affidata a la Compagnia che, dopo essere inciampata su La mia signorina di Neffa, ha deciso di salutare il pubblico con l’intramontabile Like a Rolling Stone di Bob Dylan. E’ certo che il pubblico abbia applaudito, che lo spettacolo sia stato piacevolmente accattivante, ben costruito ed eseguito, indubbiamente da vedere, ma al contempo ha lasciato l’amaro in bocca, un amaro dato dall’avere ripercorso un’epoca densa di errori, di contraddizioni che hanno regalato all’umanità il frutto avvelenato della contemporaneità, appunto la vittoria sfrenata del privato sul pubblico, dell’individualismo, del mercato come unico pensiero, dello spread come verbo incontestabile da usare in ogni occasione. Un ottimo lavoro quello di Piero Cesanelli, soprattutto di elevata qualità, considerato che è stato capace di mettere insieme un ensemble di musicisti straordinari, affiatati e complici nella bellezza. E in fin dei conti lo dimostra anche la piazza, perché se nessuno è profeta in patria, è bene ricordare che tremila persone presenti l’altro ieri sera erano l’equivalente del pubblico che è accorso per ascoltare Irene Grandi alla prima serata di Lunaria. Insomma, c’erano tutti, o quasi, purtroppo mancava Michelino.

(Nella foto La Compagnia di Musicultura)