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Abbadia di Fiastra, ADAM, Antonio Mingarelli, Felice Venanzoni, Giovanna Salvucci, L'Adamo magazine
di Maria Silvia Marozzi
E’ andata in scena mercoledì 24 “Il filosofo di campagna”, opera lirica promossa dal progetto Marchigiovani, sotto la direzione musicale del maceratese Felice Venanzoni e la regia di Antonio Mingarelli, pure originario di Macerata. Entrambi non lavorano di regola nella città natale: il primo è direttore musicale dell’Opera di Francoforte, mentre il secondo vive e lavora a Milano. E con la loro presenza scardinano un pò il mito della famigerata “fuga dei cervelli”, visto che si tratta di due personalità che hanno scelto di portare le ricchezze acquisite alla loro città, lavorando spalla a spalla per una prima e chissà se unica volta.
D’eccezione i musicisti: si è infatti trattato degli stessi che in questi giorni sono impegnati presso lo Sferisterio in occasione della 49° stagione operistica. Di quale emozione si sia trattato per i giovani cantanti, tutti ragazzi diplomati o studenti presso il Conservatorio Pergolesi di Fermo, non possiamo saperlo. Ma vederli relazionare dietro le quinte può essere elettrizzante quasi quanto lo è stato per loro: professionisti affermati e giovani talenti in erba hanno vissuto insieme per quattro giorni in una cornice dal valore inestimabile, quale è l’Abbadia di Fiastra. E alla sera dello spettacolo sono arrivati come colleghi, perchè quello è stato lo spettacolo di tutti loro.
I soprani si scaldano nascosti in chissà quale ala della villa, i musicisti accordano i loro strumenti, i tip-tap di passi nervosi scorrono veloci: un Preludio meraviglioso perfettamente eseguito. Poi finalmente in scena.
Le voci che i ragazzi del Pergolesi hanno portato sul palco non sono certo di artisti completi, le occhiate interrogative e furtive verso il Direttore tradiscono le insicurezze di chi è alle prime esperienze, rendendo l’atmosfera più graziosa e meno austera di quella che in qualche caso questo genere di musica sembra imporre. Anche il pubblico in effetti si è posto in una maniera
più distesa, proprio fisicamente parlando, visto che in molti hanno approfittato del prato del grande cortile per accomodarsi.
La prima volta che “Il filosofo di campagna” fu rappresentato nel territorio delle attuali Marche fu a Civitanova nel XVIII secolo, un tempo in cui la trama del libretto Goldoniano poteva ancora suscitare una immedesimazione: la giovane ragazza innamorata del suo bellissimo signor Nessuno è promessa in sposa ad un ricco e noto contadino, così vive la sua storia d’amore sofferente e perennemente in bilico tra la vita che vorrebbe e quella che le viene imposta. Ovviamente il lieto fine giunse allora a rincuorare le giovani promesse in spose per mano d’altri e giunge oggi far sospirare d’antichi amori. Efficace come sempre.
Mi scusi ma non eravamo tutti del conservatorio di Fermo, c’era qualcuno da Fermo, qualcuno dal conservatorio di Ferrara, di Pesaro e di Milano.