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di Eleonora Tamburrini
La vecchiaia ha molte forme, qualche volta nobili come i segreti di famiglia, le rughe verticali, il distacco dai discorsi inutili: è uno smemorarsi che li salva a poco a poco dal banale, i vecchi, e quando ormai è già tardi. Più spesso la senilità non ha niente dell’agile sussulto del suo nome: si sta come oggetti in casa a lamentare mancanze, un po’ sconciati dalle labbra secche e dalle amnesie, oppure tormentati dai ricordi. In ogni caso però, e pure se fuori tempo, i vecchi vivono di attese: di un parente, del trillo sempre uguale del postino, della badante che arriva scalpicciando allo stesso modo e con le stesse scarpe, o della sera che fa chiudere le imposte. E non c’è nulla di più inconciliabile con l’urgenza del mondo di questa lentezza spessa, incarnita, di quest’obbligo alla pazienza.
Per questo sembra una distopia molto vicina quella che Loredana Lipperini racconta in “Pupa”, Continua a leggere