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di Lucia Cattani
Le Marche dalle colline fertili e molli di pioggia, di uliveti contorti come divinità sofferenti, dove la roccia di un blu candido a volte si fa evanescente da una parte dell’orizzonte. L’interminato spazio che compare e scompare ad ogni sguardo, gli echi, le onde del mare opposte alle montagne, lo scontro titanico che avviene da sempre tra roccia e flutti, come nel caso della costa violenta e minacciosa del promontorio del Conero, dei colli di Ancona – pietra dura, imponente, che si scaglia a picco sul mare, che nei momenti di collera riversa pesanti frammenti negli abissi. Le Marche, dalle terre piene di fiori, in cui le stagioni sono sensibili e riconoscibili, sono riconoscenti alle mani callose dei contadini che curano i loro frutti: così regala, questa regione, flora spontanea come le deliziose ginestre, cariche di poesia, come i corbezzoli e le giunchiglie, la pianta di borragine, La malva, i gigli, le rose selvatiche, i denti di leone, la ruta, l’artemisia, il tarassaco, la stellaria, le fragoline di bosco. Marche come terre di Sibille, di maghi, di leggende, di racconti bisbigliati, di luci soffuse e fate giocose, di streghe che le nonne giurano volassero al crepuscolo intorno alle fonti da cui si andava ad attingere l’acqua. Continua a leggere