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di Camilla Domenella
Ho sempre considerato le arti in un’ottica cronologica implicante il concetto di progresso. Il progresso è una serie di risultati ottenuti da risultati precedenti, una evoluzione senza un fine e forse con una fine.
La musica, in particolare, mi era sempre apparsa come l’arte “reazionaria” per eccellenza. “Reazionaria” non dal punto di vista sociale, sia chiaro. È quel suo utilizzare le stesse note, da secoli e secoli, che mi faceva pensare ad essa come a uno scoglio in mezzo al mare in tempesta, bagnato ogni volta da un’onda diversa, ma irriducibilmente saldo al fondale.
Per questo, quando per la prima volta lessi “Nuova Musica”, trasalii e cominciai a congetturare. Quell’aggettivo, “nuova”, non mi convinceva. Poi andai a teatro e compresi. Una musica può essere nuova quando segna una svolta, quando compie una rivoluzione come i pianeti intorno al sole, quando la musica stessa non è più quello scoglio isolato, ma il mare in tempesta.
Parlare di Nuova Musica allora ha senso. E chi si fa interprete di questa innovazione è la Rassegna di Nuova Musica. Continua a leggere