
di Lucia Cattani
“Bello, quando sul mare si scontrano i venti
E la cupa vastità delle acque si turba,
guardare da terra il naufragio lontano:
non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina
ma la distanza da una simile sorte”
Lucrezio, nel secondo libro del De Rerum Natura, ci pone di fronte ad un particolare aspetto del naufragio, mettendo in relazione uomo e natura: presenta l’immagine di colui che, poggiando sicuro sulla terraferma, assiste ad un naufragio privo di qualsiasi coinvolgimento emotivo ma addirittura godendo della scena di cui è testimone. Questo godimento deriva dalla sicurezza della posizione dell’osservatore di fronte al pericolo e alla rovina altrui, assumendo la forma di allegoria del saggio epicureo. La filosofia di Epicuro insegna infatti a vivere senza paure e superstizioni in un universo indifferente alla sorte degli uomini: il Saggio è quindi capace di ammirare impassibile lo sconvolgimento degli atomi, di non essere travolto dalle passioni che pervadono l’intero mondo, simile agli imperturbabili dei degli intermundia. La tempesta marina, selvaggia ed indomabile, può essere letta come immagine dell’intera natura, espressione di lotta incessante tra gli elementi, dove dai rottami di antichi naufragi si genera il nuovo: è un universo ostile, caotico e terribile, che in alcun modo si cura dell’uomo suo abitante.
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