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Nell’introduzione al suo dialogo teatrale “Per aver troppo amato il mondo”, Filippo Mignini sottolinea che l’unico documento che attesti l’incontro e l’amicizia di Giordano Bruno con il giurista Alberico Gentili è il testo delle dichiarazioni di Bruno stesso all’Inquisizione veneta. Ecco il breve passo, riportato da Mignini, in cui Gentili è menzionato:
et in questi uno dottore che si chiamava Alberigo Gentile
marchegiano, il qual havevo conosciuto in Inghilterra,
professor di legge, che me favorì et me introdusse
a legger una lettione dell’Organo di Aristotele;
la qual lessi con altre lettioni de filosofia dui anni
Vi è una possibile allusione a Bruno e alle sue teorie copernicane in una lettera di Gentili risalente a qualche mese dopo l’arrivo del filosofo a Londra. Una solida base alla fantasia letteraria e filosofica di Mignini è stata, però, data dall’identificazione da parte di molti studiosi, di Alberico con Albertino, il “Nuovo interlocutore” del quinto e ultimo dialogo del De l’infinito, universo e mondi di Bruno. Mignini stesso nota come il dialogo tra Bruno e Gentili sia di capitale importanza: un filosofo appassionato come pochi alla filosofia naturale e all’etica incontra un giurista dalla sincera fede riformata, tanto accusato di machiavellismo, quanto animato da un profondo senso di giustizia. Entrambi, a detta di Mignini, “hanno troppo amato il mondo”: ciascuno nel suo campo ha rivendicato l’indipendenza dalla teologia e per questo è stato perseguitato e messo all’Indice. Bruno, martire vittima dell’oscurantismo, e Gentili famoso per il motto “Silete theologi in munere alieno” (“Tacete teologi su quanto non vi compete!”); queste due figure risultano paradigmatiche per la comprensione del passaggio dal Rinascimento all’età moderna. Su Bruno non serve dilungarci, ma su Gentili dobbiamo almeno ricordare che egli è considerato il padre del diritto internazionale (cf. De iure belli e De legationibus ) e che rivendicava (con spirito luterano) alla giurisprudenza l’indipendenza nell’esegesi biblica riguardante questioni di sua competenza. Questo atteggiamento, anche se privo del rigore filologico spinoziano, può sembrare un precorrimento del Trattato teologico-politico di Spinoza. Va notato che il vero dialogo e scambio di idee tra il filosofo e il giurista ha avuto un destino peculiare: non si conserva traccia diretta sui suoi contenuti (mi riferisco alle conversazioni effettivamente svoltesi qualche secolo fa tra i due personaggi storici, nemmeno in forma epistolare), ma tutto quello che abbiamo è finto! Finto? Ha forse Bruno messo in bocca ad Albertino parole totalmente aliene da quelle di Gentili? Mignini ha forse scritto senza alcuna cura storiografica il suo testo? Quando può Mignini fa ripetere al Bruno personaggio parole veramente dette o scritte dal Bruno storico, inoltre, nella finzione scenica, Mignini presenta un’ipotesi sulla genesi del quinto dialogo del De l’infinito, universo e mondi. Bruno compare come personaggio solo nel primo atto del dialogo di Mignini e l’atto si svolge in due luoghi, prima a Londra e poi a Wittenberg (dove Gentili aveva procurato a Bruno il corso sull’Organo); nelle scene ambientate a Londra, ben due volte i due italiani parlano delle “obiezioni tratte da Aristotele contro l’infinità dell’universo e la pluralità dei mondi abitati” con cui Gentili voleva mettere alla prova la filosofia copernicana di Bruno. Mignini non le cita esplicitamente, ma queste obiezioni, in numero di 13, costituiscono l’impalcatura dialettica del quinto dialogo del De l’infinito, universo e mondi; eppure tutta la seconda metà del primo atto è fitta di rimandi a quel quinto dialogo. Tra i due dialoghi finti, quello finto da Bruno e quello finto da Mignini, c’è un’intima coerenza di fondo! Questo ci insegna qualcosa sul vero significato della finzione nei dialoghi filosofici, almeno in quelli di cui si sta parlando: la finzione si svolge nel modo del “fingere” leopardiano, quello dell’”io nel pensier mi fingo”. Fingere è formulare un’immagine verosimile e non lasciarsi andare alla mera fantasia; “finto” qui non ha significato spregiativo, ma si accorda con l’inglese “fiction” nel comune significato di configurazione verosimile (del resto, nella poesia tragica, Aristotele aveva indicato il paradigma del verosimile). Va, inoltre, notato che in Bruno, proprio nel testo cui ci riferiamo, ricorrono immagini tipiche dei dialoghi platonici come quella della medicina metafora della filosofia:
Similmente giudicavo ne’ miei primi anni
quando ero occupato in Aristotele,
sino a certo termine: ora dopo ch’ho più visto
e considerato, e con più maturo discorso
debbo posser far giudizio de le cose,
potrà essere ch’io abbia desimparato
e perso il cervello.
Or perché questa è una infirmità la quale
nessun meno la sente che l’ammalato istesso,
io più tosto mosso da una suspizione,
promosso dalla dottrina all’ignoranza,
molto son contento d’essere incorso
in un medico tale,
il quale è stimato sufficiente da tutti
di liberarmi da tal mania.
Così Filoteo si rivolge ad Albertino e, di risposta, questi afferma che non può curare un male così radicato, ma, una volta sollecitato a tentare, Albertino propone i famosi 13 argomenti contro la filosofia di Bruno paragonandoli al “toccar il polso” del malato. Tanto nel dialogo scritto da Bruno, quanto in quello di Mignini Albertino si ammalerà del male che doveva curare; in entrambi i dialoghi Gentili incita Bruno nel perseverare (nel dialogo di Bruno questo avviene nella persona di Albertino che si rivolge a Filoteo). Possiamo notare come Filoteo dica di essere passato dalla dottrina all’ignoranza; la professione di ignoranza è comune ad Elpino nel dialogo di Bruno e a Bruno nel dialogo di Mignini: questo è un altro segno del dialogo socratico-platonico, la professione di ignoranza di fronte ad un sapere presunto. Vi è una certa complementarietà tra il dialogo di Bruno e quello di Mignini ed entrambi contribuiscono a chiarire la nozione di mondo: l’universo è uno ed infinito, sono i mondi ad essere molti (questo segna una differenza con le teorie cosmologiche del passato, tanto riguardo alla pluralità di universi, quanto alla nozione di mondo) e questo è maggiormente chiarito ed esplorato nel testo di Bruno. Il passo compiuto da Mignini è stato quello di preferire e sviluppare l’aspetto dell’abitabilità dei mondi; i mondi sono sistemi solari ossia luoghi in cui c’è vita (questo è presente nel testo di Bruno, ma è adombrato dalla disputa cosmologica generale). Il Bruno di Mignini dice a Gentili:
Forse un giorno si porrà a voi giuristi
il problema di regolare col diritto
i rapporti tra abitanti di diversi pianeti.
Non si può negare che il diritto internazionale di Gentili fosse un primo passo verso un diritto universale, in quella temperie culturale -si badi bene- ben prima di Kant. Nel luogo del verosimile, non solo è stato possibile fare incontrare due intellettuali del passato, ma è in questo luogo che il loro filosofare riprende vita e giunge a vera comprensione; ci siamo imbattuti nel luogo della filosofia, il dialogo finto. In Mignini si palesa, specialmente nelle scene con l’inglese Philip Sidney, un altro aspetto del dialogo filosofico: il dialogo con lo straniero. Ancora una volta la filosofia viene da altrove, ancora una volta dalla penisola italica, come accadde a Platone con gli stranieri di Elea.