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di Ilaria Piampiani
Non è la prima volta che scriviamo di Lucio Dalla, di questo genio bolognese “folle e imprudente” che ha preso la Musica e ne ha fatto qualcosa di più plasmandola in storie di quotidianeità, in volti ed espressioni, in anime sole e boccate d’aria fresca, in rondini e piazze affollate, in risate e desideri sensuali. Non è dunque la prima volta che esprimiamo stima profonda e malinconica mancanza nei confronti di un uomo che ha dato tanto e che, per fortuna, continua a dare grazie a progetti originali a lui dedicati e che da lui prendono vita e forma, dando modo allo spettatore di rincontrarlo “per le strade e nei teatri”.
Proprio questo spirito e intenzione hanno unito le inconfondibili note del cantautore-marinaio alla corporeità e alla fisicità intensa della danza del Balletto di Roma, esibitosi nell’inedito spettacolo “Futura, ballando con Lucio”, lo scorso 4 aprile al Teatro Rossini di Civitanova Marche.
In una suggestiva scenografia, che ricorda agli inguaribili amanti di Shakespeare il bosco incantato di “Sogno di una notte di mezza estate”, si intrecciano e si incontrano movimento e parole congiungendosi, con magica sintonia, al nostalgico ricordo di Lucio che compare, come ridestato da un sonno profondo e pieno di sogni, attraverso la sua nitida voce e i suoi giochi sonori. Il teatro si riempie di lui, del suo sperimentalismo vocale, delle sue onomatopee inconfondibili, delle sue lungimiranti visioni, dei suoi sospiri.
Siamo invitati a partecipare a un percorso nuovo che abbraccia la spontaneità dell’Arte e ne fa un viaggio ininterrotto attraverso gli anni di una musica immortale nella sua semplicità, nella sua viva sincerità, che si fa continuum sinfonico, grazie al riadattamento magistrale del musicista, compositore, arrangiatore nonché amico di Lucio, Roberto Costa, e colonna sonora di uno spettacolo che coinvolge inesorabilmente vista e udito e li soddisfa appieno. Su quelle note familiari si imprimono i corpi di danzatori fenomenali, grandi interpreti del movimento che va oltre il prestabilito canone della danza per sfociare in una decisa espressività degna di un attore.
Ballerini e ballerine mettono in scena l’esistenza nella sua complessità, tra prigionia e libertà, amore e separazione, malinconia e serenità, recitando, urlando, rappresentando i testi che gli stessi spettatori sussurrano timidamente. Ci sono le carezze tanto agognate, c’è la famiglia, c’è la gente, ci sono gli innamorati, c’è una leggerissima luna con le sue stelle, le rondini, Anna e Marco che si tengono per mano, c’è un carcerato che sogna una donna al di là della sbarre, c’è l’essenza di un giorno, la speranza di una bambina che si chiamerà Futura.
Possiamo benissimo riportare a galla tali immagini collezionate dalla memoria e intravederle nella tensione muscolare dei più innovativi slanci creativi contemporanei del Balletto di Roma, nelle coreografie “disordinate” di Milena Zullo, nella “buona schizofrenia” in cui il corpo esibisce se stesso facendosi movimento puro, abbandonandosi consapevolmente a quella rete sonora che cattura stralci di parole e le fonde alle vesti flessuose e sinuose che catturano lo sguardo. L’espressione di un’emotività nuova e allo stesso tempo appartenente a ognuno di noi, l’intimità di una gestualità infantile e matura, di uomini e donne rapiti dalla manifestazione di un’Umanità che genera racconti, lacrime e risate dense di gioia, così come le canzoni del cantante bolognese.
“Balla balla ballerino”, sussurra Lucio da un “lontano dietro le quinte”; li muove quasi fosse un divertito e improvvisato burattinaio dell’esistenza, sempre tenendo d’occhio le stelle, perfette nel loro caloroso candore o l’amica Fantasia, gridata attraverso un muro di disillusione. I ballerini ballano, nudi nella loro spontaneità, affascinanti nel loro entusiasmo, portatori sani di un’Arte che non può spegnersi perché connessa strettamente alla vita e alle sue sfumature più eccentriche e banali. Il palcoscenico si trasforma nell’amata “piazza grande” di Lucio, diviene crogiolo di respiri, parole, baci, corse, confidenze e felicità provvisorie. Tutto accade sotto la sua musica che si dipana come un intenso flusso di coscienza, avvolgendo quel bosco fatato in cui spazio e tempo sembrano essere coordinate senza realtà, in cui ogni movimento assume un significato, i capelli si sciolgono selvaggi e privi d’inibizioni come la danza stessa.
Il Balletto di Roma coraggiosamente vuole rappresentare l’attualità di un poeta dei nostri tempi, interpretarne la passione e la voracità con la quale egli ha voluto catturare un istante, uno sguardo, un sentimento, senza censure, senza paure. Ci si sente inevitabilmente e sorprendentemente liberi, immersi a nostra volta in un intricato rovo di emozioni che si riallacciano a un ricordo o a una persona, ci sentiamo finalmente, almeno per una notte, ballerini in un corpo a volte troppo immobile e impostato, un corpo che dovrebbe abbandonarsi più spesso a un abbraccio, a un bacio.
Un dovere e un piacere è lasciare le ultime parole di questo articolo a Lucio, un artigiano che con le parole più semplici ha creato ricchezza:
“Balla balla ballerino, tutta la notte e al mattino, non fermarti (…)
Sono pochi gli anni, forse sono solo giorni e stan finendo tutti in fretta e in fila
non ce n’è uno che ritorni.”