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di Alessandro Seri

Come se il teatro non fosse arte, come se l’intrattenimento televisivo avesse invaso il palco e le tavole di scena, come se per parlare di un argomento principe, altissimo e ineluttabile come la morte fosse necessario sdrammatizzarne i simboli. Continue e stupefacenti queste riflessioni mi hanno circondato per alcune ore nell’oltre spettacolo di “Mortaccia” visto al teatro Verdi di Pollenza un sabato sera d’inverno quando tutto sembra adatto al rito della tristezza. La nebbia delle strade di campagna che portano in paese, il ronzio dell’autoradio, i vicoli smorti, le luci opache, i bar della piazza caldi dentro e gelidi nei discorsi del fuori. Una serata adattata alla discesa, all’abisso. Anche se la protagonista Veronica Pivetti, vestale della tivvù generalista non lascia troppe speranze sulla profondità dello scendere ad esplorare la morte.

Per fortuna il teatro è pieno e come spesso accade i posti assegnati al sottoscritto, il palco centrale al secondo ordine, sono occupati da una coppia di loggionisti vestiti a festa che colti in fallo fingono mestizia e stupore per l’errore. Mi scuso per averli fatti sloggiare, quasi che mi fanno sentire in colpa, ma se avessero avuto vent’anni e avessero provato a fregarmi li avrei invitati a restare, invece avranno avuto sui quaranta e senza dubbio appartenevano a quella fetta di società che oggi chiamiamo professionisti. Nel togliermi di dosso le vesti ingombranti dell’inverno mi accorgo che in platea si aggira un teatrante vestito da maggiordomo o giù di lì, truccato sul bianco e con i capelli dritti, sorrido incuriosito, sono ben disposto verso la morte e prenderla un po’ in giro mi aggrada. Il pubblico sorride nell’imbarazzo di vedersi a fianco il becchino che gesticola muto. Il teatro è bellissimo e quando si riempie si appropria di un fascino diverso, basta che non sia una festicciola.

Si spegne il grande lampadario della sala, sono le prime luci a venir meno, poi mentre l’uomo di teatro risale sul palco anche le altre lampade sfumano a creare il buio necessario, finti lampi, finte paure, finto buio e fumo fintissimo per accogliere sulla scena la Mortaccia Pivetti in leggins neri, mantello e scarpe con i tacchi. Mentre la figura si aggira nel fumo un’altra signora, in vita, maleducata ed indigena, su un palco di destra, arriva in ritardo e saluta ad alta voce i coinquilini divenendo protagonista di uno spettacolo parallelo per un minuto buono che termina con il rumore della sedia che si sposta per assecondare il culone di provincia. Mortaccia Pivetti esita un istante ma poi lo spettacolo finalmente inizia.

Parte una prima base musicale sulla quale la protagonista canta, poi parte una seconda base musicale e canta ancora accompagnata da inserti vocali del maggiordomo becchino chiamato Funesto, interpretato dall’onesto Oreste Valente e da quelli di una terzo figuro in falce e pantaloni di pelle chiamato Sentenza, interpretato da Sergio Mancinelli. A questo punto ho chiaro il concetto, si tratta di una specie di commedia musicale leggera leggera e senza tante pretese. Al pubblico piacciono le cose senza tante pretese. A me invece si sovrappongono le immagini di Mimmo Adami e Dea Dani in Polvere di stelle. Appoggio i gomiti alla balaustra del palco ascolto con pazienza i testi dell’autrice regista Giovanna Gra e mi pento e mi dolgo dei miei peccati. Canzonette dalle rime baciate fanno il paio con testi presunti impegnati che citano il Rwanda o le torri gemelle finendo per sfociare in un ridicolo involontario. Tutto condito da una scenografia miserella.

Ma al pubblico piace, applausi a scrosci. Nelle recensioni e nei comunicati stampa apparsi fino ad oggi si citavano Sarte, l’Amleto di Shakespeare e Edgar Lee Master guardando lo spettacolo mi appaiono solo le maschere del Bagaglino che sono state sopraffatte dall’ingresso sul palco della macchietta di Freud in un apoteosi di banalità. Questo non è teatro. È televisione spacciata per teatro, sono filastrocche spacciate per drammaturgia, è la cartolina dell’Italia agli ultimi posti in Europa per investimenti sulla cultura.