di Andrea Ferroni
In questa rubrica mensile mi rivelo come consulente filosofico, come colui, cioè, che ricerca insieme a un’altra persona se è possibile reperire un senso nella nostra esistenza quotidiana (che passa anche attraverso le domande che ci facciamo e i problemi che viviamo). Vorrei tentare, quindi, di considerare le domande che si generano dalla lettura dei testi o da incontri e dialoghi fortuiti affinché siano uno spunto per una discussione, come delle questioni aperte che interrogano non solo chi le ha poste ma anche me direttamente e chiunque le legga. E nel proporre una risposta non intendo certo dare sentenze definitive ma offrire soltanto il mio contributo ad una riflessione comune.
La domanda di gennaio:
L’argomento del mese scorso (https://adamomagazine.wordpress.com/2013/12/15/il-filosofo-non-risponde-la-verita-e-un-punto-darrivo-o-di-partenza/) ha sollevato un interessante dibattito su più fronti on line. E’ stata per me anche un’occasione di ripensare al tema della verità e mi è tornata in mente una persona speciale: Linda. Durante un incontro, questa ragazza ha posto una domanda che mi ha colpito sia per la sua radicalità, sia per l’espressione che definirei “al di là del bene e del male” con cui era stata pronunciata. La domanda di Linda era questa: QUANDO NON AVREMO PIÙ’ BISOGNO DI VERITÀ’?
La (non) risposta:
La tua domanda, Linda, mi è rimasta impressa nel tempo così come la delicata timidezza con cui ti sai esprimere. Ma la questione che poni è tutto fuorché timida. Ci vuole un coraggio enorme per pensarsi non bisognosi della verità!
Facciamo subito una premessa: quasi certamente, se ponessimo questa domanda ad un filosofo di professione, lui o lei ci potrebbe rispondere che già la domanda presuppone un accordo con la verità, nel senso che l’esigenza di verità è una condizione in cui ci mettiamo non appena parliamo con qualcuno, è un alveo entro cui ci muoviamo sempre in una comunità. Insomma: se ti esprimi, vuol dire che già condividi un ambito in cui vuoi/puoi essere compresa, ascoltata. Ma io non sono un filosofo esperto, sono solo uno che prova a fare della filosofia uno stile di vita e quindi ti (non)rispondo a modo mio, come sempre.
E’ davvero impossibile trovare un tempo in cui non ci sarà più bisogno di verità?
Più ci penso e più confermo che la tua domanda “abissale” mi spiazza. Magari vuoi dire che dovremmo lasciar stare ogni ideologia, ogni appiglio saldo che dia consistenza dall’esterno alla nostra vita. Forse vuoi dire che dobbiamo trovare in noi stessi, relativizzandola, una piccola o “media” verità. Comunque non grande, una verità trovata dentro di noi e senza “v” maiuscola.
In ogni caso il concetto di “non aver bisogno di verità” è potente. Mi rimanda all’immagine dell’uomo in bilico su una corda tesa sopra un baratro. Ne parla il filosofo Nietzsche, per farci immaginare il coraggio dell’oltre-uomo. Lo rappresenta Klee in un suo dipinto.
Beh… Così sospeso, cosa ci faccio ora, Linda, della tua domanda? Forse mi conviene provare con uno schema: classificare è utile a volte, anche se rischiosissimo, perché la realtà non si fa mai imbrigliare in uno schema.
Partiamo dicendo che ci sono almeno queste alternative: non avremo più bisogno di verità quando (a) ce ne freghiamo della verità anche se c’è o quando (b) riusciamo a sapere che la verità non c’è.
a) Nel primo caso ci vuole più incoscienza che coraggio, credo. Vivere così, perlomeno finché si è giovani, a molti viene abbastanza spontaneo. Poi si cresce. La vita ci fa crescere. Le domande a volte pressano. Le risposte spesso latitano. E quindi che facciamo? Ci buttiamo lo stesso in una vita estetica? Facciamo gli artisti, i Don Giovanni, la Femme Fatale, gli attori, i poeti, i viaggiatori? Oppure facciamo i cinici, quelli che vivono sempre con una maschera di menefreghismo insensibile, che ostentano sprezzo e indifferenza verso gli ideali e le convenzioni della società, gli sfacciati del carpe diem? Sì, ci possiamo provare, ma resisteremo? Stando all’ipotesi a), una verità c’è. Saremo dunque più forti di una verità che comunque ci chiama a rispondere, alla responsabilità? Come chiuderemo le nostre orecchie? E poi soprattutto: perché dovremmo rifiutare la chiamata della verità? Ci vuole davvero un bel “talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti”. Equilibristi del brivido estetico.
b) Nel secondo caso invece, se abbiamo la certezza che la verità non c’è, dobbiamo quanto meno prendere fiato. Effettivamente, se intendiamo la verità come una risposta totale alle nostre domande e ai nostri bisogni psicofisici, allora sembra proprio necessario affermare, in base all’esperienza, che la verità non c’è. E occorre notare anche che, nella storia, quando è stata individuata, questa verità ha prodotto sempre danni inconcepibili. Perché mai averne bisogno allora? Forse perché fa comodo: aderire a una verità bell’e pronta ci evita lo sforzo di pensare in prima persona e indagare dentro noi stessi. Perché a qualcosa bisogna pur appigliarsi… Ma perché sentiamo l’esigenza di appigliarci a qualcosa?
Passo indietro. Già da tempo, con culmine nell’Ottocento, la scienza ha cominciato un percorso di distruzione della verità con la “v” maiuscola, quella ideologica o religiosa, sostituendola con la fiducia nel progresso della ricerca umana. A sua volta, poi, Nietzsche, oltre a constatare l’avvenuto decesso di Dio, ha ucciso la scienza (null’altro che una delle possibili interpretazioni della realtà, per quanto al momento funzionante), gettandoci nel baratro di quello che oggi chiamiamo, spesso con timore, nichilismo, la nullificazione di ogni valore.
Ecco forse perché sentiamo il bisogno di un appiglio: perché non abbiamo più niente. E precipitare nel nulla non piace a nessuno.
Ma, cara Linda, voglio anche dirti che lo stesso Nietzsche ci parla di due nichilismi: uno distruttivo, che nullifica il nostro agire come ha nullificato ogni possibile valore, e uno costruttivo, che non nullifica il nostro agire e ci chiede uno sforzo sovrumano per continuare a camminare sopra quella corda tesa sospesa sul baratro. Ci chiede di trovare l’equilibrio, passo dopo passo, per diventare i creatori della nostra vita e dei nostri nuovi valori. Non è chiarissimo se per Nietzsche questo percorso sia da fare in solitaria o in comunità. Io suggerirei di farlo insieme. Guardandoci, parlandoci e confrontandoci, ognuno sulla sua corda sopra l’abisso del nulla in cui viviamo.
E dunque cosa resta nel nichilismo? Resti tu, resto io, restano i nostri compagni di viaggio e resta la nostra possibilità di diventare artisti dei nostri valori, creatori della nostra vita. Equilibristi del brivido etico.
Linda, riusciremo a stare soli con noi stessi, a confidare solo in noi stessi, a resistere alla paura del baratro che ci lasciamo intorno e alla tentazione di aggrapparci a qualche illusione prefabbricata? Riusciremo a sorridere per la libertà conquistata in bilico sopra questo baratro? Riusciremo anche ad avere l’intelligenza di aprirci agli altri per abbracciarli, ascoltarli e camminare insieme? Riusciremo a riconquistare un’ingenuità leggera, mentre osserviamo le pesanti profondità che attraversiamo? E io riuscirò a trasvalutare la stessa “filo-sofia” in una “sapienza dell’amore”?
Se riusciremo a fare tutto ciò, allora forse, un giorno, magari oggi, non avremo più bisogno della verità. Che dici tu?
(Paul Klee, Funambolo, 1923, Kunstmuseeum – Berna)
Io dico che queste righe sono la cosa più bella che ho letto da un bel podi tempo, sono un regalo di una mente sgombra…ancora grazie!
Ma grazie a te, Sara ^_^
Andrea, condivido il filo e lo strapombio, la durezza e la meraviglia di questo cammino, la richiesta di adultità individuale e sociale che comporta, il rischio e la possibilità che contiene. Risponde ad una necessità di verità di ordine originante più che originato, di scaturigine più che di assestamento o soverchiamento.Grazie anche a Sara, e a questa bella figura di Linda…per una domanda oracolare che contiene già in sè una risposta. La tua risposta (non risposta): “la sapienza dell’amore”. E tutto torna a capo…
E grazie a te, Matilde :)