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Tomas collage su tavola

di Giuliana Guazzaroni

Gli occhiali parevano non ridurre per niente la luce del sole. Si chiese se gli amplificatori incorporati provvedessero automaticamente alla compensazione. Degli alfanumerici azzurri ammiccanti segnavano il tempo, in basso, alla periferia del suo campo visivo a sinistra. Un’ostentazione, pensò (William Gibson, Neuromante -1984).

L’anno appena trascorso è stato definito da Ambarish Mitra, CEO di Blippar, “anno del Rinascimento della Realtà aumentata” (dall’inglese Augmented reality: AR). Nonostante siano ormai trascorsi diversi anni da quando la AR ha fatto il suo ingresso nel mondo dell’informatica, è soltanto di recente che questa tecnologia si è fatta avanti anche con i non addetti ai lavori. La ragione della crescente popolarità sembra, infatti, dovuta ai ripetuti annunci della prossima commercializzazione dei Google Glasses e di gadget simili finalizzati ad accrescere le possibilità visive di coloro che li indossano.

Occhiali per la realtà aumentata, in grado di offrire informazioni aggiuntive alla realtà percepita dall’utente. Le notizie intorno a quest’oggetto e le implicazioni che comporta sono da mesi fonte di ispirazione per articoli in riviste più o meno specialistiche.

Bisognerà subito sottolineare come gli occhiali non sono affatto l’unico oggetto smart che entro breve potremo letteralmente indossare. Abbiamo già visto gli smartphone da polso, ovvero smartwatch che connettendosi al proprio cellulare consentono di chiamare, inviare SMS, email, ricevere notifiche da app e via di seguito. Inoltre, anche se meno famosi esistono scarpe, ombrelli, t-shirt e miriadi di altri sistemi intelligenti con la potenzialità di essere indossati da qualsiasi persona.

Le implicazioni delle tecnologie indossabili sono di notevole portata, poiché il futuro è costellato di nanotecnologie con la possibilità di essere inserite ovunque, attraverso una connettività permanente, ubiqua e lieve. Aumentare la realtà, significa, infatti, aggiungere informazioni, immagini, dati, e anche prodotti culturali, artistici alla realtà fisica percepibile dagli esseri viventi.

In questo momento, soltanto un’esigua parte di queste tecnologie indossabili è effettivamente disponibile e si affianca a strumenti più tradizionali come i notebook o gli smartphone. Ma indossare una tecnologia significa anche vivere la connettività alla rete immergendosi in una prospettiva completamente diversa. Significa fare sì che informazioni aggiuntive esterne ci appartengano sempre di più e diventino in grado di incidere profondamente sui nostri processi cognitivi e decisionali.

Ne consegue che narrazioni insolite del vissuto quotidiano possano emergere e algoritmizzare la nostra esperienza quotidiana di vita innestando il nostro essere mente, corpo, e perché no spirito, con interfacce intelligenti e la loro continua richiesta di attenzione e partecipazione collettiva a ritualità pseudo social.

Nell’ibridazione tra il corpo e le nanotecnologie si annuncia forse un’era di predominanza degli stati emozionali e della fragilità degli utenti complice il multitasking e la ridotta capacità di attenzione?

Oppure si prospetta una maggiore leggerezza degli stati dell’essere rispetto alle costrizioni della fruizione delle informazioni aggiuntive in luoghi preposti e con gesti non-naturali paragonati ai comandi tattili?

Saranno forse necessarie nuove grammatiche interpretative, etichette d’uso aggiornate e possibilità di ambienti soft a realtà reale, dove tornare, fermarsi e riflettere?

Non sappiamo ancora quali saranno le pratiche d’uso che si affermeranno indossando tecnologie intelligenti e quali di queste effettivamente avranno successo e saranno adottate.

Scrive a ragione il sociologo francese Michel Maffesoli (Sellerio, 2009): “Se Hegel poteva parlare di astuzia della ragione, forse non è improprio, in questa postmodernità nascente, evocare un’astuzia della tecnica. Una tecnica che, come un Golem scatenato, raggiunge uno scopo diverso da quello che era stato previsto”.

(Nella foto: “Palazzo (il re non si diverte)” 2012, collage su tavola, 244×122 cm, © Tomas).

(Per attivare la realtà aumentata della foto e ascoltare un’aria da Verdi, Il Trovatore:
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