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di Camilla Domenella

I murales del SISMA accolgono chiunque a braccia aperte. Con quella loro aria metropolitana stanno lì a dirti “Oh, che fai, non entri?”. Tu hai l’aspetto provinciale ma l’anima metropolitana, allora accetti l’invito e sorpassi il #cancelletto.
La luce blu della passerella d’ingresso sbianca i volti e avvolge le volute di fumo che si arrotolano dalle bocche parlanti. Credo abbiano pensato al blu per non far torto ai daltonici.
L’atmosfera da “underground socialitè” è confermata dall’iter di saluti che devi fare prima di riuscire a varcare la soglia. “Oh, è arrivata pure la giornalista!” è solo l’ultimo, il più sardonico, della lunga serie.
Mi hanno sempre giudicata troppo indie. Il fatto è che, per dirla con gli Stato Sociale (che non so’ indie per niente), io “sono così indie che twitter già era per sfigati; adesso è da redattori, sì, da redattori de L’Espresso”. Infatti io scrivo per un’altra testata.

Sono così indi(e)pendente che spesso tendo a sentirmi nel posto sbagliato al momento giusto, o nel posto giusto al momento sbagliato. Insomma, non dipendo neppure dallo spazio-tempo.
Stavolta invece stavo dove dovevo stare, al c.s.a. SISMA, e quando ci dovevo stare: 22 dicembre, onlyfuckinglabels#3, festival delle etichette indipendenti. Non un concorso, non un semplice concerto, Onlyfuckinglabels è invece una vera e propria rassegna di musica alternativa: alternativa alle proposte delle major discografiche, alternativa ai circuiti “istitituzionali” musicali, alternativa nei mezzi e nei fini. La musica indipendente dipende talmente tanto dalla Musica da non voler scendere a compromessi di massa, di media, di mercato. E’ dura e pura, come i suoni che riproduce.
Onlyfuckinglabels è il festival nato tre anni fa ma che, grazie all’impegno dell’Adam Accademia delle Arti Macerata e della Onlyfuckingnoise records, è diventato, oggi, l’appuntamento irrinunciabile dell’underground nazionale. L’intenzione è quella di coinvolgere e far conoscere quell’universo fecondo delle etichette discografiche indipendenti, che trovano un riscontro felice in quella parte – ampia – di ascoltatori vari, per gusti e vocazione, non classificabili tout court come “pubblico”. Come in un circolo, ma virtuoso, se esistono questi singoli ascoltatori “autonomi”, così deve esistere una musica autonoma, non standardizzata, non appiattita sull’appiattimento del ” pubblico esteso”. Onlyfuckinglabels è quindi un insieme di proposte musicali diverse, parallelo alla monoproposta del mercato discografico.
Il festival vuole essere lo spazio, mentale e fisico, dell’incontro fra musicisti e ascoltatori, senza filtri, senza condizionamenti, senza limitazioni o obblighi. Per questo il Sisma è il luogo naturale nel quale collocare la manifestazione: giovane, autonomo, libero.

Le 13 proposte musicali di quest’anno si sono alternate nelle due sale messe a disposizione dal centro sociale: la più grande per gli artisti più “rumorosi”, l’altra, più piccola, per i gruppi più soft.
Così gli A.N.O. hanno scosso il pubblico presente col loro Math-noise rock impazzito, impaziente, sconvolgente. Molto affascinante anche il retrogusto elettronico di questo duo direttamente da Jesi, An(o), Italy.
A seguire, un altro duo. I The great Saunites hanno tutto il suono ipnotico di una batteria ben suonata, di un basso adeguatamente insistente, di distorsioni impeccabili, in un insieme suggestionante di riff granitici e psichedelìe free form.
A loro, si sono succeduti gli Amin Da Dà, con una musica ricca di suoni esotici, i quali però non nascondono i riff interessanti o i non-fraseggi quasi jazz. Coinvolgenti, bravi, originali.
A seguire, un terzo duo, quello dello psychedelic soul-uplifting noise degli Sneers. Solo in due, uomo e donna, riescono a riempire l’intero registro dei suoni. La voce femminile, che riesce ad avere tutto il fascino di un timbro dolce ma crudele e a tratti disperato, ben si accorda alla chitarra, alla batteria e al violino, che non rimangono affatto schiacciati dalla voce, ma che anzi sembrano provare un’esaltazione vicendevole che arriva all’ascoltatore.
Diversi invece i Marnero. Il loro hardcore-punk è duro e puro, come la rabbia che coi testi esprimono. I suoni si fondono con contaminazioni a cavallo tra doom e post-rock. Loro denunciano il fallimento, della nostra generazione, della società, del mondo, ma la loro musica è un successo.
A seguire, Oslo Tapes. Lui scrive, compone e suona, ma il suo album – eponimo – lo ha registrato con la collaborazione di altri dodici musicisti. La sua musica è come un vento gelido del Nord: sferzante, come il noise, ma pieno e ricco, come i tratti sperimentali del suo suono.
Divertente, ragionato e sragionevole, coinvolgente è il jazz-core dei Luther Blissett. Ricchi, connessi nelle loro sconnessioni, fanno andare fuori di testa. La loro è una formazione aulica: sax, basso, contrabbasso, batteria, chitarra, e la loro musica è un free rock instancabile e imprevedibile. Sembrano la tua camera dopo tre settimane che non la riordini: un caos che ami.
Di altra tempra, è invece il duo Synusonde. Capaci di unire lo sperimentalismo caratteristico della musica elettronica al suono dello strumento classico per eccellenza, il pianoforte, i Synusonde si identificano in una commistione eclettica, che produce suoni densi, intensi, affascinanti.
Diversi sono gli Ebrei. Non è una frase che direbbe Hitler, ma un semplice giudizio di paragone fra bands. Questi quattro ragazzi pesaresi raccontano con ironia la banalità del quotidiano. Il disagio di cui parlano è scalfito dalle loro migliaia di frecciate che si conficcano nel corpo sonoro della loro ispirazione grange severamente lo-fi. Un punk beffardo, che più beffardo non si può.
Tra silenzi e sciabolate elettroacustiche, si muove invece Alberto Boccardi. Questo musicista va alla ricerca di paesaggi acustici inauditi, giocando non solo sul suono, ma anche sul non-suono. Quello che ne deriva è una musica emozionale, suggestiva, che trae per poi ricondurvi all’estraneamento dei sensi.
I sensi invece devi utilizzarli praticamente tutti con i Io monade stanca. La loro musica è anarchica, dadaista, schizzata. Mescolano tratti punk a futurismi math e post rock, per farne un ambaradan ascoltaibilissimo.
Suoni che si trasformano in immagini sono quelli di Mai Mai Mai. Illusioni sonore che fanno attraversare paesaggi di epoche lontane, di paesi orientali, di profumi insentiti. Il suo è un sound a metà tra tutto: tra drone e ambient, tra synth.punk e art-rock, ma soprattutto, tra mondi.
Ai Meteor invece non piace perdersi in ciance. I loro pezzi sono brevi ma intensi. Il loro album dura sette minuti. Sette minuti di noise puro. Altro che il rumorismo dei Futuristi! Questi ragazzi spaccano. Se il mondo si divide in incudini e martelli, loro sono i martelli… ma anche le incudini, e anche il suono che deriva dal loro battere.

Alla serata erano presenti anche le etichette discografiche – Onlyfuckingnoise, No=Fi, Sangue Dischi, Brigadisco, Eclectic Polpo, Il Verso del Cinghiale, Deambula, Canalese Noise, Villa Inferno, Hysm?, V4V, Bloody Sound Fucktory, Narvalo Suoni, Urgence Disk Records (CH), Irma – coi loro rispettivi banchetti, pieni di cd, vinili, et varie ed eventuali. Infiltrato era il banchetto dei La Tosse Grassa, che etichetta non sono, ma bravi e intraprendenti sì.

Complimenti.
Sono così indie che alla fine me ne vado, saluto i murales, e chiudo pure il #cancelletto.

(Foto di: Marina Andrenucci)