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di Andrea Ferroni

In questa rubrica mensile mi rivelo come consulente filosofico, come colui, cioè, che ricerca insieme a un’altra persona se è possibile reperire un senso nella nostra esistenza quotidiana (che passa anche attraverso le domande che ci facciamo e i problemi che viviamo). Vorrei tentare, quindi, di considerare le domande che si generano dalla lettura dei testi o da incontri e dialoghi fortuiti affinché siano uno spunto per una discussione, come delle questioni aperte che interrogano non solo chi le ha poste ma anche me direttamente e chiunque le legga. E nel proporre una risposta non intendo certo dare sentenze definitive ma offrire soltanto il mio contributo ad una riflessione comune.

La domanda di dicembre:
Una sera fredda. Mentre passeggiamo, racconto a Sergio un episodio capitatomi con mia figlia, di 7 anni. Dopo che lei mi aveva chiesto di dire la verità su una questione, a mia volta io le ho chiesto, pensando di sorprenderla: “E che cos’è la verità?”. Lei mi ha riso in faccia e ha risposto: “Che tonto che sei, papà! Non sai nemmeno cos’è la verità!”. Anche Sergio ride a quel racconto. Mi sa che per i bambini la verità non è un problema. Poi Sergio si ferma e mi chiede serio: “Ma secondo te, LA VERITÀ È UN PUNTO DI ARRIVO O DI PARTENZA?”.

La (non) risposta:
La tua domanda, Sergio, secondo me è cruciale. Mi sembra particolarmente importante soprattutto perché non so rispondere. Mi organizzo cammin facendo, mentre scrivo, cercando di essere breve, al limite dello schematico.
a) Ipotizziamo che la verità sia un punto di arrivo. Diciamo, cioè, che all’interno di un viaggio, non la possediamo al momento di partire. Ecco, se così è, se la verità non è qualcosa di precostituito, allora tocca a noi darci da fare per costruirla.
Avviso subito: supporre che si potrebbe trovare lungo il cammino equivarrebbe comunque a dire che c’era già prima di noi (e quindi si rimanda all’ipotesi b).
E allora come si costruisce la verità? Non lo so, ovviamente, ma io immagino questo percorso nel dialogo reciproco, il più possibile comunitario. Un’edificazione attraverso un confronto tra le diverse prospettive soggettive o di gruppo, passo dopo passo, verifica dopo verifica, contributo dopo contributo, mattone sui mattone. Un percorso di accordo che dà conclusioni condivise e stabili, anche se sempre migliorabili. Usando un termine filosofico si potrebbe dire che si tratta di un metodo abduttivo (l’abduzione è un ragionamento che non parte da premesse certe e non giunge a dimostrazioni, ma a conclusioni solo probabili o perlomeno condivise). In questo senso, la vita diventa ciò che noi vogliamo/pensiamo/diciamo che essa sia, in una ricerca comune.
Rischi connessi all’ipotesi a): delirio di onnipotenza, sopravvalutazione della volontà.
b) Facciamo l’ipotesi, invece, che la verità sia un punto di partenza. Diciamo, cioè, che la verità è da sempre presente prima che cominciamo a muoverci. Beh, se è così, allora mi viene da pensare che la cosa migliore da fare è metterci in suo ascolto. Forse sono necessarie anche una certa fede e una buona dose di speranza, intese non per forza in modo religioso, ma anche, semplicemente, come atteggiamenti di fiducia e di ottimismo. Comunque, di sicuro, è essenziale soprattutto avere orecchie sensibili e occhi bene aperti. La verità, in questa seconda ipotesi, ci comprende prima ancora che possiamo porci il problema della sua esistenza o della sua necessità. Prima ancora di ogni possibile uso di questo mondo, lei è già lì a guardarci. Certo, sarebbe da chiedersi anche se ci guarda con tenerezza o con indifferenza… Forse è lì nascosta, che ci parla con un linguaggio sconosciuto, che magari possiamo imparare a riconoscere mettendo da parte il nostro, di linguaggio, sempre così poco poetico, così arido, così razionale, così calcolatore. Poi bisognerebbe saper accantonare anche l’orgoglio e la nostra presunzione, il nostro narcisismo e l’individualismo. Tutte cose molto occidentali. Non che questo significhi per forza che la verità è a Oriente. E nemmeno che a Occidente esista solo la verità rivelata ai cristiani.
Rischi connessi all’ipotesi b): tendenza alla passività e alla deresponsabilizzazione, sottovalutazione della volontà.
Caro Sergio, tu forse intendevi qualcosa di diverso e queste due ipotesi non rispondono pienamente alla tua domanda. Ma un consulente filosofico cerca di essere un costruttore di strade alternative, non un fornitore di certezze. E questa di oggi è solo una breve riflessione, qualcosa che ti propongo come un’ipotesi da valutare per costruire insieme qualcosa di più “vero”. Voglio restituirti qualcosa del mio punto di vista, perché, grazie a te, ho dovuto mettere in moto il cervello. Magari tu, grazie a me, puoi portare le mie congetture in altre interessanti direzioni. Nel caso, fammelo sapere.
Ops… Mi sa che, con questa considerazione appena scritta, ho rivelato che propendo per la verità come un qualcosa da costruire, ossia come un punto d’arrivo. Tendenzialmente sì, ma non ne sono certo, perché l’ipotesi b), in realtà, mi affascina moltissimo. Con ogni probabilità ci sono molte altre ipotesi e tante vie di mezzo da collaudare. In ogni caso, dalla parte del costruire, sarei in buona compagnia. Al di là del mio amato Nietzsche, ci sono perfino degli illustri teologi (cito ancora? Ma sì: Teilhard de Chardin) che spiegano come la perfezione non sia da cercare all’inizio -l’Eden cui segue poi l’inevitabile corruzione- ma alla fine dei tempi, poiché siamo in un percorso di costante evoluzione. In questo senso la creazione dell’universo non c’è stata una volta per tutte ad opera esclusiva di Dio, ma dura nel tempo: noi uomini siamo i collaboratori del progetto divino di creazione continua verso il compimento finale.
Ma ancora più radicalmente: il nostro tempo è rettilineo o si curva su se stesso ciclicamente? E se la nostra esistenza non si svolgesse su una linea, come quasi sempre sembra, ma su una circonferenza, in un “otto” infinito o dentro una sfera? Se la percezione rettilinea del tempo fosse solo un errore della prospettiva umana?
Con una retta ha senso parlare di inizio e fine, ma su uno spaziotempo che curva su se stesso ogni punto è contemporaneamente principio e conclusione, e quindi inizio e fine si annullerebbero. Ah… l’eterno ritorno!

(foto: Giulio Perfetti, All’infinito, 2011, bassorilievo in terracotta smaltata, struttura in ferro, cm 270 x 80 – www.giulioperfetti.com)