di Lucia Cattani
Per le vie di una Macerata domenicale c’è fermento per i festeggiamenti prenatalizi dell’8 dicembre. La folla si riversa festosa, forse a volte un po’ nervosa, tra i mercatini che offrono le solite, familiari merci luminose e vistose, spesso di poca utilità pratica. Ma poco importa, quando le luci attraggono chiunque, rendendo eccitati i bambini che indicano continuamente gli addobbi. A pochi passi dalle consuete e comprensibili frenesie dicembrine giunge un richiamo diverso da tutta la confusione, da tutta la mercificazione e l’agitazione che pervade la città. Nel cuore di strade e vicoli si spalancano le porte della splendida chiesa di San Filippo Neri.
Si prospetta per coloro che oltrepassano i veli purpurei alle porte, un viaggio nel passato, nella tradizione pura e semplice, nelle ataviche voci quasi dimenticate che invece risorgono e ci vengono proposte dall’ensemble di musica medievale La Reverdie. Il concerto appartiene al ciclo degli eventi musicali organizzati da Appassionata, che quest’anno a quanto pare vuole fornirci sempre nuovi stimoli, proponendo generi diversi e inconsueti com’è appunto quello di questo 8 dicembre. La chiesa barocca sembra ancor più gremita nel suo sfarzo abbagliante, ma ognuno si sente al sicuro, a proprio agio quando le luci si attenuano, le voci si affievoliscono in attesa delle melodie antiche de Il trionfo della vergine nell’opera di Hildegard von Bingen: proprio la famosa Ildegarda, monaca filosofa, artista, mistica, profetessa addirittura fino ad essere riconosciuta Dottore della Chiesa nel 2012 è l’autrice della maggior parte dei brani proposti da Claudia e Livia Caffagni ed Elisabetta de’ Mircovich. Ad introdurre il concerto è l’intervento quanto mai illuminante ed approfondito della scrittrice e professoressa Lucia Tancredi, autrice nel 2007 del volume “Ildegarda, la potenza e la grazia”, in cui viene analizzata la grande forza interiore e la genialità della santa, nata nell’anno in cui i crociati entrarono a Gerusalemme. Sfortunata sin dalla nascita, viene oblata dai genitori che non potevano sostenere il peso di un’altra bocca da sfamare: la sua esistenza è destinata al chiostro, ma si rivela colma di significato quando intorno a quella giovane figura di monaca si crea una vera e propria aura mistica, non mancando mai però la lucidità di pensiero (il neurologo e scrittore Oliver Sacks riduce le visioni di cui Ildegarda era preda ad auree visive, ovvero forti emicranie a cui la donna avrebbe invece attribuito un valore mistico, ma è sempre bello lasciarsi affascinare dai forse). Le visioni, le luci che sono parte della santa dall’infanzia la portano ad inaugurare una regola monastica senza precedenti, fondata sul principio della Virillitas, quell’aspetto di rigoglio continuo, di infinita fioritura, di verdeggiante natura anche metafora di verginità, che dalla preservazione fisica rende l’anima preda di una continua rinascita, di un’infinita e libera crescita. La natura è fondamento della vita di Ildegarda: si può pregare anche erborizzando, traendo i medicamenti dalla purezza della natura. La musica riesce a captare l’energia di questo mondo naturale, fino a giungere all’intero universo. Come Ildegarda stessa scrive “l’orecchio può captare l’energia stessa dell’universo; la musica serve a ricordarci che gli uomini una volta parlavano la lingua degli angeli.”
Quasi tangibile si rivela il misticismo di Ildegarda quando i canti hanno inizio: le tre musiciste ci accolgono con Tota pulchra es, Maria, sulla scia dei canti gregoriani, a cappella. L’unione semplice e piena di potenza delle voci permette al pubblico di scivolare indietro di quasi mille anni, di sentirsi parte della dura e solitaria vita monastica. Non è solo questo però: dall’oscurità gelida della chiesa l’altare illuminato con le tre musiciste sembra un richiamo ad essere coraggiosi, a non cadere nell’errore, ad essere perseveranti. È la voce degli angeli di cui Ildegarda parlava ad apparire di fronte a tutti, portata da Claudia e Livia Caffagni ed Elisabetta de’ Mircovich, vestite in abiti medievali. Le cantanti sembrano appartenere al passato, le voci non eccedono mai, sempre lievi, umili direi, talvolta aiutate da qualche strumento dell’epoca come le Campane, la Symphonia, la Viella, il Liuto. Il risultato è ammaliante e suggestivo.
I canti si rincorrono, alternandosi con mottetti del XIII o rondellus , portandoci anche ad ascoltare Sainte Marie Viergene di Saint Godric di Finchale, quell’eremita analfabeta di cui si narra gli fosse stata cantata durante la notte una melodia bellissima dalla Vergine stessa. Riuscendo a ricordarla perfettamente, promulgò la musica e così giunse fino a noi sotto questo nome: ed in effetti Sainte Marie Viergene è una melodia meravigliosa, ed è bello pensare che sia di mille anni fa, che per un millennio sia stata suonata, cantata, tramandata con amore dai credenti di dieci secoli. A discostarsi dall’incanto medievale sembra essere il brano di chiusura, composto nel 2013 da Roberto Padoin, Sivit anima mea, ma non è così, la suggestione è del tutto simile e l’uso della parola ricorda la salmodia: come a dimostrare che è possibile ritrovare quel senso medievale anche nella contemporaneità.
(Vania Zouravlivov, The lord of the rings)