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Anna Della Rosa, Arianna Guzzini, cechov, Marco Bellocchio, Michele Placido, Sergio Rubini, Teatro Lauro Rossi, zio Vanja
di Arianna Guzzini
La stagione teatrale di prosa del teatro Lauro Rossi si è aperta lo scorso 12 novembre con uno spettacolo di eccellenza. Era lo Zio Vanja di Anton Čechov, per la regia di Marco Bellocchio, una rappresentazione che ha accolto al suo interno nomi del calibro di Sergio Rubini (zio Vanja) e Michele Placido ( professor Serebrjakov). Tutta la curiosità si concentrava così nella speranza che le grandi aspettative non venissero di colpo disattese, perché i grandi nomi non bastano a fare un buon spettacolo, soprattutto quando ci si cimenta nel confronto con i grandi classici.
In un’estate di una campagna russa, il professor Serebrjakov giunge nell’azienda da lui ereditata assieme alla giovane moglie Helena. Tutto, tempo e lavoro, sembra arrestarsi, preda di un ozio e di un’indolenza che contagia chiunque entri in contatto coi due nuovi ospiti. Nell’azienda agricola gestita fino a quel momento da Vanja e da Sonja, figlia del professore, emergono allora i conflitti e le disillusioni dei vari personaggi, spogliati del ruolo che avevano avuto fino a quel momento. Il professore è un uomo pomposo, un vecchio che non accetta la sua senilità, un cialtrone abituato a vivere nel lusso coi guadagni di Vanja e di sua figlia. La sua seconda moglie Helena è un giglio di cartapesta, una donna che nasconde la sua inettitudine sotto una retorica fitta di falsi moralismi. Vanja si rende conto di aver immolato la propria esistenza per mantenere una falso idolo, il professore, e Sonja, che vive da sconfitta sin dalla nascita, saprà ben presto che i suoi giorni futuri non potranno essere altro che una passiva resistenza al tempo che scorre e alla solitudine cui è condannata. L’unico che sembra possedere una visione più lucida della realtà è il dottor Astrov, avvezzo al contatto con la miseria e la disperazione della malattia. Non è un caso che questo personaggio sia un medico di provincia, così come lo era anche Čechov: a lui è infatti affidato il drammatico resoconto su di un’umanità che divora ogni cosa in virtù di una cieca sopravvivenza, cosicché la distruzione diviene il principio regolatore dell’apatia e della noncuranza verso se stessi e ciò che si ha attorno. Ogni evento del dramma verte su di un senso di attesa impossibile da definire, uno strano ed inconscio presentimento d’una catastrofe incombente. Ciascuno agonizza all’interno di un imprecisato senso di ansia di cambiamento, senza però riuscire a reperire i mezzi della sua realizzazione nel presente. Vanja sa di aver sprecato la sua esistenza, eppure ormai non può e non riuscirebbe più a cambiarla, ha vissuto credendo che attraverso il mantenimento del professore avrebbe contribuito a suo modo all’avanzamento del progresso, ma di quell’uomo nessuno se ne ricorderà. Ecco allora che tutte le fatiche di una vita si avvolgono in una completa privazione di senso ed il presente finisce inesorabilmente per delocalizzarsi nel tempo. Ogni tentativo verso la realizzazione di sé si è rivelato un fallimento, non resta che attendere il trascorrere del tempo una volta compresa la truffa giocata dal destino. Questo senso di atemporalità, di inerzia, di indifferenza aleggia come un fantasma a mezz’aria all’interno della scenografia (magnifica) entro cui vengono puntualmente diretti gli attori, sotto la guida del Bellocchio. Nell’asetticità dello spazio scenico i personaggi entrano ed escono, si muovo al suo interno con precisione metodica, quasi a seguire uno schema geometrico, ma mai innaturale. Tutta la potenzialità di questa scenografia viene utilizzata, cosicché la sua complessità risulta sempre motivata e mai un semplice abbellimento di scena. Il tratteggiamento dell’atmosfera indicatoci da Čechov risulta qui amplificato e raggiunge le caratteristiche dell’inquietante, se pur non arrivando mai ad un eccesso, andando così a rimarcare maggiormente quell’amara ironia tipica dell’autore. Un umorismo dato dall’emergere di situazioni pressoché paradossali, assurde, come le frasi fuori luogo della balia, o l’ ironico cinismo di Vanja, che dimostra in realtà la sua incapacità di agire ed l’effettiva inadeguatezza nei confronti del presente. Sergio Rubini, nel rendere le caratteristiche di questo protagonista, si dimostra un grande attore anche sul palcoscenico, oltre che nella pellicola. Allo stesso modo Marco Bellocchio si rivela all’altezza delle aspettative, supportato da un gruppo attoriale affiatato, dove fra tutti spicca anche Anna Della Rosa (Sonja).