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di Camilla Domenella
Di dubbi, i filosofi vivono. Con le questioni irrisolte giocano come bambini sulle altalene; i problemi, se non ve ne sono, se li creano. E non lo fanno per spirito polemico o per manie di grandezza, ma per la fame mai saziata di sapere.
L’Associazione di Storia Contemporanea doveva quindi immaginare che invitare due filosofi a parlare di Storia, avrebbe potuto creare quel po’ di destabilizzazione frastornante ma necessaria alla curiosità.
Il secondo ciclo di “Incontri con la Storia”, organizzato appunto da ASContemporanea, si è chiuso lo scorso mercoledì con la presentazione del libro “L’orizzonte e le radici. Sul riconoscimento del legame comunitario”. La conferenza, tenutasi nella Sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi Borgetti, ha visto protagonista l’autrice Silvia Pierosara, dottoressa e collaboratrice alla cattedra di Filosofia Morale dell’Università di Macerata, introdotta dal prof. Luigi Alici.
Il testo di Pierosara verte su una serie di problemi e questioni reali, attuali, debitamente affrontati in senso filosofico.
La sua riflessione si sviluppa a partire dall’antinomìa fra Trascendentale e Storico, Uno e Molti. Nella Storia della filosofia, i filosofi hanno sempre concepito questi concetti come opposti, esclusivi, antitetici. Il tentativo di Pierosara è invece quello di far dialogare Trascendentale e Storico, Unità e Molteplicità, all’interno di un orizzonte morale e politico ineludibile.
Come spiega Pierosara, il Trascendentale è “l’universale che ci precede”, è l’Uno, è la cornice morale antecedente e contemporaneamente finale all’interno della quale si muove e si sviluppa lo Storico. Lo Storico, per (apparente) contrasto, è la dimensione fattuale, cioè quella dei legami, degli eventi, dei particolari, dei molti e del molteplice. In altre parole: sopra di noi vi è il Trascendentale, intorno a noi, lo Storico, nel quale viviamo immersi.
Sembrerebbe quindi impossibile riuscire a coniugare questi due aspetti, che muovono da origini differenti per attingere da orrizonti ancora più diversi.
Pierosara sostiene però che un equilibrio è possibile. Ma possibile solo a partire da un ripensamento che ponga al centro dell’intera riflessione il ruolo dell’Interiorità. Quel “noi”, rispetto al quale stabiliamo il luogo del Trascendetale e dello Storico, è l’io coincidente alla nostra interiorità, che è la condizione senza la quale qualsiasi dimensione sarebbe impossibile. L’interiorità è quindi radicalità, del domandarsi, del rispondersi: è la fucina di consenso alla cornice trascendentale dei valori morali, alla quale dà legittimità, affinchè possa essere applicata alla dimensione storica. El’io che dice sì a quel senso da lui trovato, e in base al quale agisce. L’interiorità è quindi con la ricerca di senso, e attribuzione di senso al mondo.
Pierosara mostra appunto questi suoi assunti avendo ben chiaro il passaggio che ha permesso di parlare di Unità e Molteplicità in ambito morale. Nel Novecento, infatti, il tentativo di stabilire un equilibrio fra Molteplice e Unità si trasforma nella domanda sulla possibilità di un equilibrio fra relazioni. L’attenzione filosofica novecentesca si sposta difatti dal campo metafisico per concentrarsi su quello morale-politico, e per esigenze storiche e sociali (basti pensare alle Guerre Mondiali), e per il naturale sviluppo della materia.
Nasce quindi la riflessione sulla Relazione, intesa come osservazione e studio dei legami fra persone. Ciò che si instaura in una relazione interpersonale è ben più di una somma di io + io: si stabilisce un legame, che è reciprocità, che trasforma due identità distinte in una nuova unica identità, un “noi”.
Ecco, allora, che solo nella relazione, il molteplice viene ricondotto all’uno.
A partire da questo assunto, Pierosara svolge il nucleo più strettamente morale della sua riflessione, che si snoda lungo i rami tortuosi del tema della Reciprocità.
La filosofa, nel suo libro, individua tre nuclei principali, soggetti però ad ambivalenze: Comunità, Riconoscimento, Narrazione.
La Comunità, spiega ancora Pierosara, è il luogo all’interno del quale si stringono i legami. La Comunità è piattaforma dialogica, ma anche miscela identitaria: essa è la soluzione nella quale l’io si scioglie in un noi. La cifra negativa però può emergere quando quel “noi” si contrappone ad un “voi”, quando la Comunità si chiude in maniera esclusiva, narcisistica, assoluta, segnando la cesura fra sè e gli altri.
A questo tema è strettamente collegato quello di Riconoscimento. Il riconoscimento è, per Pierosara, il gesto attraverso il quale si accetta, si attesta un valore. Io riconosco l’altro, e, grazie a questo riconoscimento, costruisco il legame con l’altro. Tale riconoscimento avviene sempre in base a criteri o valori ai quali io ho attribuito un senso, ai quali ho dato il mio assenso, e attraverso i quali l’altro deve passare per essere riconosciuto da me. Ma anche il Riconoscimento nasconde il suo lato oscuro: esso può essere uno strumento finalizzato all’eslcusione di chi non condivide il nostro senso.
Molto, se non tutto, quindi, ruota attorno alla costruzione di senso.
Costruire il senso significa narrare. Soltanto la Narrazione, intesa come insieme di segni che unificano il molteplice e che dura nel tempo, può essere tessitura del senso condiviso. La Narrazione è, in questi termini, veicolo e riserva di valori.
Oggi, grazie alle comunicazioni “liquide”, fluide, veloci, permesseci dalla tecnologia, abbiamo innumerevoli esempi di questo narrare e narrarsi. Ognuno di noi sente il bisogno di raccontare se stesso, di esprimersi, nel tentativo di istituire rapporti, relazioni, legami. Talvolta, questo raccontarsi, che è tipico della dimensione storica, sfocia nell’esibizione e/o nella contraffazione di sé, ma quel che stupisce è l’universalità del bisogno. Il bisogno di narrare è Trascendentale, è qualificante, è il motivo per cui gli esseri umani sono umani. E il bisogno che ci spinge a raccontarci è lo stesso bisogno che ci apre alla relazione, che ci motiva a (ri)conoscerci.
Questo bisogno trascendentale “va agito” nella dimensione storica sempre e soltanto nella prospettiva della reciprocità, e mai dell’univocità; nell’ottica dell’intersoggettività, e mai dell’autoreferenzialità; nell’idea dell’inclusione, mai dell’esclusione; da un punto di vista transculturale, interdisciplinare, polivoco, ampio, evitando le rispettive degenerazioni.
Solo così la filosofia smette di destabilizzare soltanto, e comincia ad agire.
(Foto: “Mirrors” di Duane Michals)