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Senza titolo-1

di Elisa des Dorides

Come sta la musica oggi? Nel panorama  italiano c’è di tutto di più. Nascono icone dal nulla, o meglio dai quotatissimi talent show, e la sostanza musicale resta al margine, un contorno, un di più. Si parla del personaggio principalmente, delle mode  etendenze che vi nascono attorno . Il mercato del disco è diventato un qualcosa di informe ed un’ utopia fotografarlo in ogni sua sfaccettatura: l’egemonia dei modelli culturali dominanti ha recintato il mercato discografico musicale che sforna sono sempre meno interessanti.  Tutti quei compositori che non fanno parte del mainstreaming musicale hanno chiaramente difficoltà a far conoscere,  diffondere la propria arte. Soprattutto per gli emergenti è importante, anzi fondamentale, poter suonare dal vivo e ciò ultimamente in Italia è diventato sempre più ostico da realizzare. In questa immobilità asfissiante, in soccorso della musica live un aiuto si sta muovendo da parte del mondo della politica che, nell’agosto 2013, ha formulato un emendamento, contenuto nel decreto legge “Valore cultura”. Questo si propone di annullare l’iter infernale necessario per organizzare un concerto, comprendente licenze e autorizzazioni che complicano e allungano i tempi. Secondo questa iniziativa si potrebbe arrivare ad avere il permesso con una semplice autocertificazione da consegnare in Comune per i concerti con meno di 200 spettatori e che non terminino oltre le 24. Ora la norma è in attesa di essere approvata e, a causa dell’equilibrio a dir poco precario del nostro governo, non si sa quando e come andrà in porto questo percorso legislativo. L’iniziativa #piùmusicalive dal 21 Settembre è stata portata in giro per l’Italia con i suoi principali promotori quali Stefano Boeri, architetto e ex Assessore della cultura del Comune di Milano che ne è l’ideatore, assieme a Manuel Agnelli, cantante degli Afterhours.  Boeri scrive così nel suo progetto/petizione: “La musica, come ben sappiamo, non è un prodotto preconfezionato. Nasce in situazioni imprevedibili –un incontro casuale sui banchi di una scuola davanti a una pizza, sulla rete- e cresce in luoghi spesso occasionali: uno scantinato, un garage, una soffitta. Ma subito cerca, come l’ossigeno, un pubblico e uno spazio per mettersi in scena”. Questa sorta di  liberalizzazione costituirebbe un piccolo ma significativo passo in avanti che potrebbe dare nuovo impulso al settore e nuove opportunità per chi suona, per chi fa suonare nell’ottica del concerto come momento di esperienza sacra.
La musica sta bene, la musica sta male. Tra profeti e miscredenti la passione di chi compone musica e vuole trasmettere qualcosa agli altri è l’unica cosa che si incontra oltre tutta la nebbia. E in territorio marchigiano abbiamo gruppi con una storia alle spalle, gruppi che sono cresciuti, dovizi d’ambizioni: abbiamo incontrato e scambiato due chiacchiere con gli Aedi e i Drunken Buterfly.

  -Ha Ta Ka Pa, il vostro ultimo disco uscito nel 2013, vi ha consacrato alla fama nazionale e internazionale si può dire ormai. E ciò anche grazie alla collaborazione con Alexander Hacke. Come nasce questo album? Quali sono state le vostre aspirazioni?
“ Prendete una parete bianca, immacolata, bene, ora prendete quanti più possibili barattoli di vernice, colori belli vivaci, un pennellone o se volete, utilizzate anche le mani, iniziate a schizzare stile Pollock questa parete, mettete da parte la paura di sporcare e soprattutto di sporcarvi, divertitevi, magari incazzatevi anche. Ecco, più o meno ha ta ka pa è nato così. potrei in fine consigliarvi di andare da un critico d’arte, qualcuno che vi orienti poi verso qualcosa di più concreto, qualcuno che ci capisce parecchio, ma andateci senza esservi lavati le mani, ne rimarrà più affascinato e coinvolto.”

 -Con soli due album,  Aedi met Aedi e Ha Ta Ka Pa, siete riusciti ad ottenere un successo strepitoso. I vostri concerti coinvolgono con una naturale contagiosità. Avete suonato molto anche all’estero. Com’è suonare lontano da casa? Secondo voi, in paesi come la Germania, c’è più disponibilità per l’organizzazione di  concerti?

“Nella prima risposta ho praticamente descritto quello che accade anche nei nostri live, qualcosa che già era presente nell’album precedente ma con meno irruenza, spiritualità e impatto, questi elementi sembrano amplificarsi quando suoni lontano da casa, quello che vuoi esprimere speri sempre che arrivi il più lontano possibile e a tutti. Per quanto riguarda l’organizzare concerti direi che, in generale all’estero, c’è più attenzione, più partecipazione e probabilmente “più rispetto”.

-Un progetto musicale che vorreste realizzare?  

“Per ora non abbiamo un’idea ben definita di cosa faremo, non ripeteremo lo stesso percorso di ha ta ka pa, questo è certo, ma in linea di massima puntiamo a realizzare un progetto che venga definito da chi lo ascolta “Capolavoro”. sto scherzando.

 http://www.aedimusic.it/

– A dieci anni dall’inizio del vostro viaggio come Drunken Butterfly esce Epsilon. Un album, come lo avete definito voi stessi, “veloce, moderno e cattivo” che avete presentato live in giro un po’ per tutta Italia. Qual’ è l’evoluzione che lo caratterizza? In cosa si distingue dagli altri lavori?
Epsilon è un disco profondamente diverso dagli altri che abbiamo prodotto. Tutto nasce dalla sezione ritmica, la batteria la fa da padrone in un certo senso, agli altri strumenti viene imposto di adeguarsi. Questo tipo di scelta compositiva, finora mai utilizzata per un disco dei Drunken, ha comportato da un lato una forte riduzione della melodia e degli arrangiamenti, dall’altro un maggiore impatto sonoro. In questo disco, inoltre, c’è stata una cura quasi maniacale per i suoni e tutta la strumentazione utilizzata è stata scelta con cura e per motivi precisi. Oggi come oggi, coi tempi che stiamo vivendo, non ha più senso produrre un disco con la classica formazione basso, chitarra e batteria acustica.

– Pensate ci sia abbastanza spazio per la musica live nel nostro paese? Cosa vorreste dagli amministratori della cultura per agevolare l’organizzazione di festival, concerti, manifestazioni?
Stavo leggendo in questi giorni la proposta di legge, approvata dal Senato, sulle facilitazioni per l’organizzazione di musica dal vivo: questa è sicuramente una gran bella iniziativa. Per contro, purtroppo, nel nostro paese tutto quello che nasce musicalmente come underground e indipendente troppo spesso rimane tale. La cultura musicale viene calata dall’alto sul popolo attraverso spettacoli indecenti come Amici e X-Factor. È molto difficile che un progetto musicale di valore e con dei contenuti riesca a raggiungere la massa. Invertire questa tendenza è quasi impossibile, bisognerebbe buttare la televisione nel cesso, far crescere i nostri figli con dei valori che sono l’esatto opposto di quello che ci viene propinato ogni giorno.

– Il web e la diffusione della musica: la rete è uno strumento che aiuta l’artista nella promozione dei suoi lavori? Che rapporto avete con essa?
Quando abbiamo iniziato noi non c’era niente di tutto questo ed era veramente dura, dovevi spendere dei gran soldi per produrre la tua musica, dopodiché dovevi spedire le tue cassettine in giro sperando che qualcuno le ascoltasse. Oggi con due lire ti produci il tuo disco nella cameretta di casa, lo carichi su internet e, se funziona, cominci a creare il tuo seguito. Anche in questo caso, però, c’è il rovescio della medaglia; c’è una quantità di gruppi ridicola, formazioni improbabili che durano il tempo di una stagione. Per dirla in termini economici, l’offerta supera di gran lunga la domanda e questo fatto, come è normale che sia, ha provocato un crollo del mercato, i locali pagano sempre meno, il cd è diventato un oggetto inutile, un progetto musicale viene masticato e digerito in cinque minuti. Detto questo, la rete fa parte di tutte quelle evoluzioni incontrovertibili con cui, volenti o nolenti, bisogna fare i conti, occorre saperne cogliere gli aspetti positivi e saperli sfruttare a proprio vantaggio.

drunkenbutterflyband.tumblr.com


Nella foto Drunken Butterfly e Aedi