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di Camilla Domenella

In una domenica di fine Settembre, uggiosa e malinconica, mi ritrovai a Penna San Giovanni.
La non diritta via era stata percorsa, senza smarrimenti, passando per valli e montagne, affrontando saliscendi eternamente (ri)tornanti, contando gli autovelox come pecore prima di riuscire a dormire. La macchina mugghiava ad ogni curva e ad ogni salita, i tratti di pioggia scaricavano goccioloni sonori sul parabrezza. L’atmosfera sembrava languida e sonnolenta, ma tra noi, quattro donne impavide stipate in una macchina…
“Bisognava fare più prove! Io l’avevo detto ad Alessandro… Bisognava organizzarsi prima, e per le luci, e per i cambi di scena…”
Arianna, seduta accanto a me, nei posti dietro dei passeggeri, osservava languida il paesaggio. I Sibillini troneggiavano per la loro imponenza, e si stagliavano su quel cielo bianco, denso, basso.
“Oddio, sarà tardi?
Dove devo andare adesso? Ah, qui c’è un autovelox. Ecco, il limite è 60. Vabbè, sto a 61…”
Roberta, seduta al posto del passeggero, annuiva senza troppo vigore ai fili spezzati del discorso. Si era preoccupata di alzarsi un po’ prima per stirare il bavaglino che era così acciaccato che, letteralmente, “sembrava una fisarmonica”.
“Ti dicevo: la questione delle luci bisognava affrontarla prima! Le luci sono una cosa importante in uno spettacolo. E invece, vedi?, ieri abbiamo perso tempo…”
Per quanto mi riguardava, non riuscivo a capire a quale bavaglino Roberta facesse riferimento. Poi ho scoperto che c’ero seduta sopra.
“Abbiamo fatto le due di notte, e non siamo riusciti a provare per intero lo spettacolo! E Alessandro voleva farci fare due filati oggi!”
Questa, che, con una stupefacente veemenza mattutina, denunciava gli intoppi delle prove passate, era Sara.

Sara Piersantelli è la protagonista dello spettacolo. Lei, donna di una femminilità travolgente, interpreta il monaco Gerolamo, personaggio protagonista, che da santo diviene peccatore, che da esempio di rettitudine diviene emblema della perdizione. Il monaco attraversa i poli opposti dell’umano, senza però vedere le sfumature, senza accettare gli intermezzi.
Arianna Guzzini interpreta la giovane Antonia, fanciulla aristocratica, dolce, soave, indifesa, che chiede aiuto al monaco per non incappare nelle trappole dell’amore, non sapendo però che quella sarà la sua fine.
Roberta Sarti interpreta Agnese, la suora del convento di Gerolamo, che proprio dal monaco viene condannata e segregata in carcere, per aver ceduto alle delizie dell’amore.

Arrivammo a Penna San Giovanni. Il paese era pittoresco alla luce diffusa del cielo non schiaritosi. Il teatro Flora ci accoglieva nel suo intimo splendore. Quel teatro piccolo, tutto completamente in legno, traboccava di ricchezza e semplicità. Le colonne dipinte, la volta affrescata, davano un senso di raccoglimento nel quale gli attori, tesi, non riuscivano ancora a crogiolarsi.
Manuel aleggiava per il teatro. In senso inverso, aleggiava Carlo. Seduta in platea, osservando il palco che di lì a poco avrebbe calcato per l’ennesima prova, stava scompostamente Sonia.

Sonia Maggini interpreta Rosario, o meglio: interpreta Matilde. Insomma, Sonia Maggini è Matilde, la donna che vuol sedurre il Monaco, e che, a tal fine, si traveste da novizio che ha fatto voto di silenzio. Rosario, appunto.
Carlo Filocamo è invece Raimondo, l’amante di suor Agnese, e amico di Lorenzo, interpretato da Manuel Caprari.

Manuel brancolava nel buio dell’indecisione tra “capelli: meglio sciolti o legati?”. Roberta si faceva allacciare il bavaglino, che con mio sommo sbigottimento, era uno dei paramenti del costume da suora. Federico, il tecnico-luci, s’affannava dietro il palco, poi appariva e riappariva ogni volta in un punto diverso del teatro. Come un folletto, borbottava anatemi contro lo spegnimento dei riflettori. Sortilegi vani: un fusibile si ruppe, con uno sfrigolìo che lasciò nell’aria l’elettricità della puzza di bruciato. Ma questo, il comune di Penna San Giovanni è meglio che non lo sappia.
Il clima, non proprio rilassato, si fece teso quando dai camerini irruppe la notizia dello svenimento di Sara. Sgomento sui volti dei compagni, terrore palpitante in tutto il teatro! Si correva in soccorso di Sara: che la consolava, chi la coccolava, chi correva a prenderle una tazza di tè, di caffè, di qualsiasi cosa! E chi, infine, più con tenerezza che con cinismo, commentava: “Ce deve fa.”

Le prove scorrono senza intoppi, sotto lo sguardo attento di Alessandro Seri, regista e autore dello spettacolo. Dall’alto del suo palchetto centrale, osserva con attenzione i cambi di scena, amministra le luci, chiarisce la recitazione.

Alle 21.30, le porte del Teatro Flora si aprono al pubblico. I parenti e gli amici degli attori si mescolano ai numerosi curiosi di Penna San Giovanni. Un signorotto ci invita alla sua mostra d’arte, un giovincello si assicura che l’entrata sia gratuita, le signore, inforcati gli occhiali, leggono avidamente il volantino.
E’ così che si apre il sipario. Sul fondale, campeggia il quadro affascinante di una Madonna. Gli occhi puntati sul Monaco. La sua voce feroce ma calma ipnotizza il pubblico.

Il monaco, santo, devoto, perno della vita della sua comunità, condanna suor Agnese, sorella di Lorenzo, amata di Raimondo, per aver ceduto alla passione della carne.
Il monaco dichiara poi al suo fedele novizio Rosario di provare amore verso la Madonna ritratta in quel quadro.
Ma Rosario è una donna. Rosario è Matilde, innamorata del monaco, e la madonna amata, la madonna del quadro a cui ogni notte il monaco si rivolge con suppliche e con lodi, è lei, è Matilde. Matilde lo corrompe, gli fa conoscere l’amore, e allora il Monaco, non sazio, con l’appoggio della stessa Matilde, ordisce una trama per avere Antonia.
Antonia è l’amata di Lorenzo. Antonia cerca scampo dalle grinfie del suo ricambiato amore per Lorenzo, cerca rifugio nella santità del monaco. Ma il monaco, animale, feroce, inconsciente, la avvelena, la possiede, la uccide.
Lorenzo e Raimondo, accorsi per salvare l’adorata Agnese, scoprono il triste crimine.
Lo condannano, il Monaco viene assolto. Ma quello, da santo, non aspetta neanche il giudizio terreno. Compie da sè l’estremo atto di giustizia divina: si uccide.

La recitazione degli attori è puntuale, precisa, coerente. Il testo, scritto in versi, non riusciva “cantilenato”, bensì adeguatamente espresso: reso vivo. Tutto era intonato e misurato.
Arianna Guzzini è di una dolcezza commovente nel suo ruolo di Antonia. La sua voce bassa e delicata fa adeguatamente da contraltare a quella di Lorenzo. Carlo Filocamo è coraggioso, forte, commosso, stupefacentemente perfetto nel ruolo di Raimondo.
Lo stesso è il Lorenzo di Manuel Caprari, condito di sfumature più blande, meno intraprendenti, come il suo ruolo richiede.
Roberta Sarti è trascinante, accorata, quando lancia la maledizione al monaco. La voce le trema, coerentemente, quando alla fine, salvata, condanna il religioso.
Sonia Maggini interpreta perfettamente Matilde. Con una determinazione mista a malizia, si conferma un’attrice intrigante e interessante.
Risplende la bravura di Sara Piersantelli. Lei, che da donna, interpreta la bassezza animalesca di un uomo, lo fa con una tale intensità da lasciare, non stupiti, ma sconvolti.
Sara è capace di tirare fuori e portare sulla scena l’intero essere umano, il santo e il peccatore, la vittima e il carnefice, l’uomo e la donna.
Geniale, da parte del regista, è stata l’idea di inserire, come quadro della Madonna, non una proiezione di un’immagine fissa, bensì un vero e proprio video. La Madonna-Matilde-Sonia, che sembra immobile nelle sue vesti azzurre, d’improvviso sbatte le ciglia, muove lievemente una mano, torce leggermente il capo. Il pubblico ne resta rapito.

Questo è stato Il Monaco. Il pubblico applaudiva entusiasta. Le luci hanno funzionato. Il bavaglino è rimasto stirato. Alessandro Seri ha tirato un respiro di sollievo, ma soprattutto di contentezza.

Per altre notizie su “Il Monaco”:
https://adamomagazine.wordpress.com/2013/07/02/il-monaco-in-anteprima-linee-guida-dellumano/#more-2611
L’intervista a Sara Piersantelli
https://adamomagazine.wordpress.com/2013/06/29/2579/#more-2579

(In foto, il palco del teatro Flora)