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di Marco Di Pasquale

Come si potrebbe iniziare in maniera appropriata e fedele il racconto della magmatica, incandescente ed in fondo colma di speranza, ora e sette minuti di poesia a due e più voci che si è svolta mercoledì sera nella roboante eco dell’Auditorium Sant’Agostino del suggestivo borgo di Civitanova Alta, insieme alla poeta americana Rachel Blau DuPlessis e alla sua traduttrice e traghettatrice di idee e simboli, Renata Morresi? Forse si potrebbe cominciare soltanto con un verso letto al centro del vortice di un reading serrato e a lingue alterne, giustamente appuntato e riproposto come chiusa dell’evento da una dei numerosi ed affascinati spettatori: “Accettalo. Questo fallimento è la visione”.È questo uno dei versi chiave del testo intitolato “Dialogo del sé e dell’anima” che rappresenta bene quel tormento e quella tensione della ricerca inesausta che è la scintilla animatrice della raccolta di “poesie estese” che Du Plessis denomina “drafts”, “bozze” e che con la loro qualificazione prestano il titolo al libro pubblicato dalla casa editrice marchigiana Vydia e che le due poete hanno letto e animato nel contesto della quarta edizione di “Macerata Ospitale”, festival dell’ospitalità espanso anch’esso sul territorio provinciale: appunto, “Dieci bozze”.
Il metodo compositivo è particolarmente complesso, non verticale/cronologico bensì orizzontale/tematico, così come orizzontale è l’esperienza e sono i legami che annodano tutta l’opera (dall’imponenza di cifra poematica) di questa importante figura della letteratura statunitense, che tanto ha dato ed ha contribuito con l’insegnamento e l’esegesi al panorama critico nazionale ed oltre. Il tentativo di tessere un reticolo di sicurezza che ci abbracci tutti e che ci induca a ricucire il trauma, lo strappo che ciò che vediamo, la storia tangibile, ha prodotto e produce nella nostra vita individuale, è per DuPlessis un invito a guardare nella penombra, a precisare l’essenza di quell’invisibile che paradossalmente sostanzia la nostra via d’uscita. Per questo, come ci dice la stessa autrice in una battuta al termine della appassionante performance, l’incontro, il dialogo, la sintonizzazione delle soggettività, che finora “si sono sempre divise in troppi pronomi” creerebbe una pluralità democratica che possa congiungersi in un discorso universale.
In questa babele di pronomi, la poeta o la poesia in generale non si collocano in posizione di superiorità bensì svolgono una funzione solidale o fors’anche orientativa, indicando e chiarendo quello che l’invisibile, l’eclisse smeriglia e smembra in mille schegge pronte ad indurci (in senso etimologico) ad errare. Il nostro vagabondaggio tra segni e simboli prosegue nel testo intricato, plurilinguistico, seminato di ironia, accenti amorevoli, invettive irose, raccomandazioni ed imprecazioni, oltre ad essere popolato da una moltitudine di citazioni che coinvolgono tutta la letteratura antica e moderna, da Dante a Derrida, e che germoglieranno dopo una lettura che esige, e molto, dal suo visitatore. E non potrebbe essere altrimenti, vista la sofferta e puntuale enquête condotta da DuPlessis nel sottosuolo della propria esperienza e che, come da un pozzo artesiano, sgorga e riporta in superficie tutta la sua energia espressiva ed il vigore compositivo.
La lettura si conclude con molte domande dal pubblico ma prima con un testo, “Canzone”, che è un abbraccio tra la poeta ed il suo “doppio ispirativo”, l’anima che, immaginata come sua figlia, ella stringe al seno e con cui istituisce una relazione dopo un percorso difficile di riconciliazione, dimostrandoci come sia possibile alfine illuminare il buio e, tra le macerie che non hanno latitudini (e che anzi tutti possiamo contemplare fuori dalla finestra delle nostre vite), trovare un brandello di quella pace che la poesia continua ad aiutarci a inseguire.

(nella foto, un momento del reading)