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l'orso

di Camilla Domenella

Forme nuove.
Ricerca di forme nuove.
Trovare forme nuove.
Forme nuove.
Forme nuove, forme nuove, forme nuove…

Ecco l’ossessione del Teatro contemporaneo, la meta irraggiungibile di una forma d’arte esaurita. Teatro! Nei secoli talmente sviscerato, rivoltato, distrutto e poi ricostruito, da esser diventato arido, inconcludente, insignificante. Quello contemporaneo è un teatro per cui “non importa saper recitare, scrivere, o suonare. Quello che conta è la capacità di sopportazione.”
Non sto usando parole di un filosofo, né quelle di un giornalista, né mi permetto di citare un critico. Questo mirabile sunto, questa valutazione che è quasi una stroncatura, è un frammento paradossale di un’opera teatrale.

Intorno alla ricerca di forme nuove, sul perno saldo di contenuti “classici”, ruota lo spettacolo “I Magi”, andato in scena lo scorso 30 Agosto, presso la biblioteca Mozzi-Borgetti, in prima regionale. L’appuntamento s’inseriva all’interno della rassegna No Man’s Island – Solitudini da osservare, curata dalla Compagnia Nessunteatro, che promuove con successo la cultura teatrale del e sul territorio.
“I Magi” è l’ultima invenzione di Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia, attori-autori pluripremiati, che vantano collaborazioni importanti – Ventriglia ha lavorato con Ascanio Celestini in “Cicoria – in fondo al mondo, Pasolini” – . La compagnia Garbuggino-Ventriglia nasce nel 2002 e fin da subito si afferma come polo itinerante irrinunciabile per il teatro contemporaneo. I luoghi delle loro messe in scena non sono necessariamente teatri: i loro spettacoli si spostano per le vie delle città, si annidano nei bar e nei ristoranti, si impongono sulle piazze. Con “I Magi”, si fanno spazio anche tra i libri della Biblioteca maceratese.
“I magi” è uno spettacolo indefinibile, che non si lascia etichettare e categorizzare. Emerge da quella forte corrente del teatro di narrazione, per invadere il campo inesplorato del varietà. Come da copione, il ruolo centrale è affidato agli attori. Si noti bene: agli attori, non ai personaggi. Ventriglia e Garbuggino si alternano in monologhi e dialoghi che non hanno altra trama se non quella di rappresentare l’Artista a tuttotondo. Accompagnate dal trombone di Tony Cattano, le parole di Florenskij, Cechov, Eduardo, Shakespeare, si affollano in ordine sparso sulla scena, invasando gli attori. Il dramma dell’Amleto, per esempio, è reso con ironia dall’inversione di generi e di ruoli. Silvia Garbuggino interpreta Amleto. Con solennità, forza, recita le famose battute del dramma shakespeariano. Accanto a lei, un Ventriglia in veletta bianca interpreta in falsetto un’accorata Ofelia. Il risultato è paradossale, ironico, sarcastico.
Lo spettacolo si chiude con la stessa scena col quale s’è aperto, in una circolarità che dice molto sulle intenzioni (e sulle origini) degli attori-autori. “Natale in casa Cupiello”, di Eduardo De Filippo, torna per chiudere lo spettacolo. E’ quasi straziante il padre che al figlio chiede e richiede “Te piace o’ presebbio?”.

Ne “I Magi”, chi cerca un trama, si scontra col meta-teatro. Gli artisti sulla scena interpellano il pubblico, lo guardano, lo osservano, lo commentano anche. Nella finzione teatrale, affermano la verità della loro esistenza. Quel che viene rappresentato è l’Artista. Artista che, attraverso la sua arte, guarda nel pubblico attraverso se stesso. Come un gioco di specchi, in cui la figura riflessa è replicata all’infinito, così è lo spettacolo di Garbuggino e Ventriglia. Loro, come i magi, seguono la cometa del Teatro; il pubblico, come il neonato di Nazareth, ne accoglie i doni.

Di forme nuove, non ha avuto bisogno la prima nazionale de “L’orso”. E’ bastata la bravura indiscutibile degli attori, unitamente ad un testo coinvolgente, a fare di questo spettacolo già un successo.
“L’orso”, di Anton Checov, è andato in scena lo stesso 30 Agosto, alla biblioteca Mozzi-Borgetti. La sala Castiglioni è diventata il salotto della casa di campagna di Elena Ivanovna Popova. Abbandonata su una poltrona, la giovane vedova Elena Popova è sorda alle esortazioni del servitore Luka. Ella, rimasta vedova di un marito che la tradiva, ha deciso di restargli per sempre fedele. A nulla servono le proposte o i rimproveri di Luka, che la sprona ad uscire, farsi un amante, non lasciarsi morir rinchiusa. Ma Elena Popova è categorica: restar fedele, a dispetto del marito adultero. Fino a quando… Smirnov irrompe in casa. Urla, sbraita, dice che rivuole i quattrini che il defunto gli doveva. Non c’è modo di cacciarlo via. Quello si pianta nel salotto, e resterà lì fino a quando non rivedrà i quattrini, dice. I modi bruschi, insolenti, inaspriscono l’animo della vedova, che gli nega per quel giorno la restituzione del denaro dovuto. E Smirnov, allora, giù con le parole pesanti, contro le donne, contro la loro congenita infedeltà, contro la loro beltà, di cui si approfittano! Quella prima si difende, poi si offende. La Popova e Smirnov arrivano a sfidarsi a duello, mentre il povero Luka cerca nervosamente e invano di farli ragionare. Recuperano le pistole, s’insultano, si agitano, ma alla fine, si baciano, trovandosi innamorati.
Francesca Zenobi interpreta Elena Ivanovna Popova, e lo fa con la delicatezza unica della donna forte e determinata. Perfettamente calata nel personaggio, non sbaglia mai un’intonazione di voce, un respiro calibrato, un gesto, un sorriso, o un sopracciglio aggrottato. Viene dalla scuola di Saverio Marconi, il Centro Teatrale Sangallo di Tolentino, e la sua preparazione, ottima, è il suo biglietto da visita.
Pimpante, entusiasmante, elettrizzante nei panni del servitore Luka, Enoch Marrella è in verità un attore camaleontico. Gli si legge nei modi, nella voce, che è uno di quelli capaci di interpretare qualsiasi personaggio. E di interpretarlo molto bene. Non a caso, ha lavorato con maestri del calibro di Anna Marchesini, Lorenzo Salveti, Michele Placido. Ha curato la regia di diversi spettacoli, tra cui “Cuoredebole”, tratto dal racconto di Dostevskij, col quale ha vinto nel 2013 il concorso Teatro Made in Marche.
Chi stupisce per la sua interpretazione assolutamente adeguata, coerente, coinvolgente, è Francesco Ferrieri, che interpreta Smirnov, l’orso. La barba incolta, il capello lungo, la gestualità frenetica, ampia, nervosa, la voce bassa e roca, non nascondono una sensibilità che va oltre il personaggio. Il suo curriculum parte dal teatro stabile di Genova, e arriva fino alla stesura di “La Tragedia negata” con Nicola Panelli, passando attraverso un’esperienza di sette anni al fianco di Carlo Cecchi. Arriva nel 2012 nella compagnia Nessunteatro, che appunto partorisce “L’orso”.
“L’orso” è una commedia raggiante, che non vorresti mai vedere finita. Vorresti sapere come stanno la Popova e Smirnov, se si sfidano a duello quando litigano. Vorresti anche chiederti come sta Luka, così ragionevole e vivace, in mezzo a quei due impertinenti.
Ma la commedia è finita, e nella realtà non resta che applaudire per tre minuti questa prima nazionale, che si preannuncia un successo.

Cechov scrisse: “Mai si deve mentire. L’arte ha questo di particolarmente grande: non tollera la menzogna. Si può mentire in amore, in politica, in medicina; si può ingannare la gente, persino Dio; ma nell’arte non si può mentire”. Così anche il pubblico, che il 30 Agosto affollava la Mozzi-Borgetti per questi due spettacoli, ha rivolto agli attori tutti applausi sinceri, ricordando che un forma più nuova di un bello spettacolo, è sempre impossibile da trovare.

(Nella foto, di Marco Casolino, gli attori de “L’orso”: da sx, Enoch Marrella, Francesca Zenobi, Francesco Ferrieri)