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Barocci, Cantarini, Caravaggio, L'Adamo, Lucia Cattani, Maratta, Marche, mostra, osimo, pittura, pitturaa, Pomarancio, Rubens, Sgarbi
di Lucia Cattani
Le Marche seicentesche si mostrano profondamente legate a Roma, appartenendo allo Stato della Chiesa. Queste terre che potrebbero essere immaginate come provinciali, di marginale importanza rispetto al brulicare di idee e di sfarzo della Città Pontificia, in realtà vede le sue risorse artistiche e territoriali esaltate grazie a questo legame. Non bisogna tralasciare di considerare, inoltre, il forte richiamo verso tutto il mondo cattolico che la Basilica di Loreto emanava, reliquia esaltata dalla nota leggenda, vero e proprio unicum che le terre marchigiane potevano offrire ai devoti. Infine è da considerare l’importanza del porto di Ancona per i traffici commerciali e gli scambi non solo di natura economica ma anche culturale, come dimostra la presenza, sin dal XV° secolo, di Giorgio Orsini da Sebenico e di molti altri artisti ed intellettuali nel capoluogo. Queste considerazioni rendono comprensibile il fervido fiorire dell’arte barocca nelle Marche, in cui non vediamo un barocco provinciale, ma lo stesso presente a Roma, come osserva Vittorio Sgarbi. In virtù di questo periodo storico particolarmente fervido dal punto di vista artistico per il nostro territorio, ed inoltre in occasione del trecentesimo anniversario della scomparsa del Maratta, la città di Osimo fa rivivere quella grande committenza artistica seicentesca delle famiglie nobiliari marchigiane in una grande mostra curata da Vittorio Sgarbi e inaugurata lo scorso 29 giugno. L’esposizione Da Rubens a Maratta. Meraviglie del Barocco nelle Marche. Osimo e l’Alta Marca sarà aperta ai visitatori fino al 15 dicembre, nel suggestivo Museo Civico di Osimo.
La mostra parte da dipinti di Rubens, Barocci e Pomarancio fino ad arrivare a Carlo Maratta, pittore della vicina Camerano e punto di massimo coronamento del barocco. Spiccano nelle sale quadri inediti, appartenenti a privati, numerosissime opere sacre concesse da alcune delle miriadi di chiese presenti nel territorio, in cui molto spesso capolavori passano inosservati, e numerose pitture provenienti dalla Pinacoteca Civica di Ancona, ora chiusa per ristrutturazione. Ciò che emerge dalla mostra è senza dubbio la magnificenza, l’ombra, la spasmodica e inquieta decorazione che occupa, spesso violentemente, ogni spazio sulla tela. Quello del Barocco è un orror vacui che si allontana dall’ascetismo medievale e che, come Caravaggio aveva anticipato, diventa più concreto e reale che mai. L’illusione, il miracolo, sono oggetti tangibili e quotidiani, i protagonisti del culto cristiano non sono mai stati così simili ai volti familiari degli umili, dei contadini, spesso mostrando le piccole imperfezioni che caratterizzano tutti noi. Cade la patina dell’intangibilità e dell’incorruttibilità, dell’irrealtà delle figure sacre ed ecco crearsi un riavvicinamento tra Eterno e vita terrena, e con esso, inevitabilmente la rivelazione di una sorta di inquietudine e di mistero nelle cose che non sono più stabili e certe, diventando più simili all’imprevedibile volgere dell’esistenza e dell’azione umana.
Senza dubbio una delle opere più affascinanti dell’esposizione è la celebre Adorazione dei pastori di Pietro Paolo Rubens, eseguita a Roma nel 1607 per la chiesa di S. Filippo Neri di Fermo: grazie all’artista si apre una nuova maniera, fatta di teatralità e coinvolgimento. L’Adorazione è dominata da un fulgore soprannaturale che emana dal Bambino, rischiarando uno scenario avvolto nell’oscurità notturna, un modulo già usuale presso gli Olandesi. La fede dell’anziana contadina e l’incredulità dei pastori che ammirano la povertà del Bambino, emanano un’emozione palpabile e quell’armonico contrasto presente già nel Correggio e in Caravaggio. C’è equilibrio ma non serenità nella scena: il groviglio di angeli violentemente illuminati e avviluppati tra loro come prigionieri intenti a liberarsi lasciano presagire i travagli di un’esistenza fondata ancor prima di iniziare sul sacrificio e sulla tribolazione.
Colpiscono inoltre le opere di Orazio Gentileschi, padre della pittrice Artemisia, per la sua grande vicinanza al Caravaggio, e il naturalismo di Cantarini, capace di ritrarre la vecchiaia in modo così sincero e tenue da riempire i volti di umanità, fino a rendere le rughe testimonianza della verità della carne, dell’esistenza dolorosa ma necessaria del tempo.
Si apre poi, dalla sesta sala, la sessione riservata a Maratta, nato a Camerano nel 1625 e morto a Roma nel 1713, tanto apprezzato dalle Corti Europee e dalle più alte Gerarchie Ecclesiastiche da diventare il modello estetico per eccellenza nel passaggio fra Seicento e Settecento. Abile ritrattista, rende le sue opere traboccanti di allegorie, spaziando tra temi mitologici e racconti biblici. L’atmosfera è sospesa e traboccante di mistero, ma anche di speranza, vivida nei colori spesso tenui e quasi fiabeschi, nei volti dolci e leggiadri, nelle movenze accennate. Il barocco prende vita nelle sale che si susseguono, presentando un’evoluzione lunga un secolo; e se gli scenari sono quelli del mito e dei culti, i volti, le emozioni tangibili sono quelle degli abitanti di queste terre in bilico tra influenza pontificia e traffici mediterranei, oscillanti tra la sfarzosa cultura dei nobili e la religiosità semplice dei contadini.
(Immagine: Maratta, Adorazione dei pastori, particolare)