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patti smith

di Camilla Domenella

Un inciampo sulla pedana scuote l’acqua nel bicchiere. La mano ossuta lo stringe con più forza, per non farlo cadere. Gli applausi coprono il suono labile delle sue scuse per aver inciampato. Figuriamoci, che tipa! Inciampa, beve acqua, si scusa, è una rockstar. Patti Smith fa tutto con la leggerezza della normalità: non sa mica di essere un mito. A chi lo è, non serve dimostrarlo.

Così si è presentata ieri mattina la sacerdotessa del rock agli Antichi Forni, in occasione degli Aperitivi Culturali del Macerata Opera Festival. Ha sorriso con quelle sue guance scavate illuminando gli occhi ancora giganteschi sotto un cappello bianco. Che tipa! Sorride lusingata e imbarazzata al pubblico che non smette di applaudirla, come se fosse la prima volta che riceve una tale accoglienza.
Se la osservi bene ti sembra di scorgere in lei qualcosa di eterno. Non è il suo innegabile prestigio, è piuttosto qualcosa di mistico, e di sovrannaturale. Poi osservi te stesso, e ti senti soltanto un corpo sudaticcio nel mezzogiorno di fuoco della domenica. Meglio guardare lei, decisamente, ti dici.

Incalzata dalle domande di Cinzia Maroni, che fa le veci di conduttrice e intervistatrice, e del direttore artistico del MOF Francesco Micheli, l’eterna Patti risponde eloquentemente senza la necessità di apparir brillante. Lo è. Sinceramente, ammette che fin da quando era una “young girl” si è interessata alla cultura italiana, all’arte e alla poesia nostrane, che le hanno fornito continua ispirazione. Ma come qualsiasi forestiero che conosca il Bel Paese, non dimentica neppure di lodare le nostre specialità: caffè e pasta. Il pubblico annuisce fieramente con l’aria di chi la sa lunga.
Prosegue la cantautrice dichiarando di aver scoperto l’opera lirica ascoltando Puccini, e da questo ha maturato la sua visione della musica: essa è arte e amore, è amicizia e relazione.

Ricorda poi Cinzia Maroni che proprio ieri l’onorevole Angelo Tofalo ha trasmesso alla Camera dei Deputati il ritornello della celebre “People have the power”, per sottolineare l’importanza di una partecipazione democratica alla vita politica. La cantautrice statunitense si dichiara lusingata e racconta di aver recentemente dedicato questo suo pezzo a Papa Francesco, il quale, per lei, incarna il sentimento di questa canzone.
Ma Patti Smith non è nuova a questa “vicinanza pontificia”. Nel ’78, nel suo album Wave, inserì una foto di Papa Luciani accompagnata dalla didascalia “la musica è riconciliazione con Dio”. Spiega Patti il perché di questa decisione: “vidi il volto di Papa Luciani e trovai che questo trasmetteva calore e umanità”. E’ evidente la filosofia di Patti Smith: ciò che conta non è cosa si rappresenta, il ruolo che si ha, o cosa socialmente si è. Ciò che conta è il messaggio che si trasmette e come lo si trasmette. Non possono esservi differenze tra un papa, un deputato, una rockstar, o un pubblico maceratese soffocato dal caldo di Luglio: c’è una libertà di fondo che ci rende tutti uguali, che ci spinge ad essere “wing in heaven blue”.

Un mese fa, Patti ha tenuto a New York un concerto per celebrare il centoquindicesimo anniversario della nascita del poeta spagnolo Federico Garcia Lorca, di cui si è sempre dichiarata estimatrice. Patti Smith nasce infatti dalla poesia. Agli albori della sua carriera, recitava in reading con accompagnamento musicale. Dichiara, infatti, con semplicità: “la poesia è venuta prima. La musica è stata una conseguenza naturale”.
Ed è questa naturalezza che la cantautrice statunitense ricorda negli anni del Chelsea Hotel. In quello storico albergo newyorkese sono passati i più grandi artisti degli anni ’60 e ’70, da Janis Joplin a Leonard Cohen, da Bob Dylan a Sid Vicious. E in quel posto ci si incontrava per stare insieme, per confontarsi, per ridere, per scherzare: “just living and create”, sottolinea Patti, “soltanto vivere e creare”. Quelli erano anni in cui un artista non cercava fama e notorietà, perchè non sapeva neppure di essere artista; erano anni in cui i paparazzi non esistevano, le tecnologie erano scarse, e l’unica cosa che si poteva fare era stare insieme, con umanità e gioia.
Molti grandi di quei tempi morirono giovanissimi: Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, sono i miti – anche loro – da ricordare. Ma Patti Smith ammonisce il senso di venerazione che spesso scaturisce da queste morti premature, e asserisce che non dobbiamo e non possiamo dimenticare il presente che sarà il futuro. “Io sono entusiasta per le nuove generazioni, perchè possono ancora creare”, dichiara la sacerdotessa. E’ un monito, questo, che nella semplicità della sua logica e della sua esposizione risulta ancor più feroce nel contenuto. Una rockstar di 67 anni, simbolo attuale di un’epoca però trascorsa, emblema, per gli altri, di una nostalgia passatista, invidia quasi le nuove generazioni che hanno ancora una vita davanti per creare il mai creato, fare il mai fatto, dire il mai detto. Che tipa! E che imbecilli noi, che attaccandoci al passato non vediamo il presente!

Interrogata da Cinzia Maroni sulle possibili difficoltà di ruolo di madre e di leader femminile di una band tutta al maschile, Patti Smith si confessa: essa è cantante e insieme madre, e madre e insieme rockstar, ed è donna, uomo, padre. Come lei stessa spiega, in lei convivono due anime perchè la morte prematura del marito Fred Smith l’ha costretta a fare da madre e da padre ai suoi figli. Non si sente abituata a distinzioni di genere: “Io non mi sento una cantante donna, o una scrittrice donna, o un’artista donna. Come di un quadro non si pensa al genere di chi l’ha dipinto, così credo sia la mia arte.”

Nel suo libro “I tessitori di sogni”, la cantante spiega difatti la sua nuova intenzione artistica, mutuata, per così dire, da Michelangelo. Gli oggetti contengono “una loro propria anima” e non si deve far altro che tirarla fuori. Proprio come narra la leggenda che Patti ci racconta, in cui Michelangelo trasse dalla tasca un pezzo di marmo e questo interrogò lo scultore con un “Ehi, ti ricordi di me?”.
E come fosse stato l’ oggetto di cui parlava, Patti Smith ha tirato fuori l’anima del pubblico. Ha dedicato ai presenti le canzoni “Wing” e “People have the power”. Lo ha fatto così, per gioco, per puro gusto, per godimento musicale. Che tipa!
La sua voce, calda, bassa, inconfondibile, accompagnata da una chitarra acustica, ha scolpito il marmo delle menti di ciascuno ricordandoci che “noi possiamo dare il via alla rivoluzione sulla terra”.

(foto di Laura Belmonti)