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borgo futuro

di Arianna Guzzini

Ripe San Ginesio è per me il luogo dell’infanzia e delle origini, il borgo stretto dal paesaggio sconfinato delle campagne ondeggianti, il rintocco della chiesa che batte le ore notturne, il cucù che sveglia di soprassalto nella casa della nonna, i giardinetti dei pinoli. Le abitazioni medievali premono gli angusti vicoletti in un ordinato ammassamento, la vecchia torre di guardia, rassicurante nella sua pesante corposità, si fronteggia nella piazza con l’edificio di epoca mussoliniana che ora ospita il bar, rievocando storie di nascosta resistenza e di fascismo. Nei ricordi di bambina, Ripe era un luogo estemporaneo, dove il tempo sembrava intrappolato in un circolo statico, fra l’antico del borgo ed il moderno delle sculture contemporanee disseminate qua e là per il paesino ed in armonia coi vecchi mattoni delle case, forse anche per la ruggine che iniziava la sua aggressione. A poco a poco le giovani famiglie avevano cominciato a spostarsi altrove, spinte dalle necessità della vita moderna, ed ogni volta che vi ritornavo trovavo sempre più sporadici i compagni di gioco; unici che resistevano erano gli anziani natii. Anch’io e la mia famiglia prendemmo a recarci sempre più raramente nel vecchio borgo. Vi ritorno dopo parecchi anni, credendo di trascorrere un paio di serate in una delle classiche occasioni un po’ mondane e un po’ paesaiole, di ritrovare il paese immerso in una folla passeggiante eccessiva e fuori luogo, assolutamente invasiva a trasgressione dei miei ricordi atemporali ed assai vagheggianti. Come spesso accade, per fortuna, l’atteggiamento prevenuto viene sfatato nel momento in cui viene disatteso. Si entra nel Borgofuturo passando fra lenzuola e biancheria stese di gesso candido, come ad attraversare il cortile di casa, una morbida accoglienza che dista dall’intento di creare un forzato stupore. Lungi dalle solite attrattive di una festa in paese, pensate per lo più per attirare gente come mosche al miele con la speranza che il tintinnio di molteplici portafogli possa dar respiro giornaliero ad un’economia locale zoppicante, il festival appare assumere una forma diversa. Bisogna passeggiare fra le stradelle, ciò che attrae verso le varie proposte di Borgofuturo è la pacata ricerca, ciascuno è partecipe delle proprie scoperte, deve mano a mano scovare le molteplici insinuazioni nei più disparati luoghi: un piccolo spiazzo, una casa, un vicolo. Si penetra così all’interno di una riflessione collettiva, in cui il borgo si discosta dall’essere il suo mero paesaggio d’accompagnamento, esso ne diviene protagonista, guida e punto di partenza. Non a caso il festival fa sue, come vessilli, le parole degli Scritti Corsari di Pasolini: “Il nuovo potere consumistico (…) si è valso proprio delle nostre conquiste mentali di laici, di illuministi, di razionalisti per costruire la propria impalcatura di falso laicismo(…). Si è valso delle nostre consacrazioni per liberarsi di un passato che, con tutte le sue atroci e idiote consacrazioni, non gli serviva più. In compenso ha portato al limite massimo la sua unica possibile sacralità: la sacralità del consumo come rito, e, naturalmente, della merce come feticcio”. L’intento ed il cauto invito è quello di iniziare a creare un altrove dalla crisi a cominciare da un modo differente da concepire ed utilizzare le risorse del territorio e di ripensare al concetto di collettività, o meglio, di riappropriarsene. Incontri, spettacoli, mostre ed istallazioni, voci ed esperienze diverse, una raccolta polifonica insediata. Già nella piazza attrae immediata la curiosità verso i giochi in legno e materiali poveri di Ludobus con i quali persone di ogni età si ritrovano a cimentare ingegno ed abilità. L’occhio passa rapido, quasi per caso, alla poderosa torre di Ripe San Ginesio, vi ci si addentra un attimo ritrovandosi improvvisamente all’interno di Enciclopedia/Stanzedistanze, mostra curata da Nicola Alessandrini. I due ambienti della torre divengono luoghi d’indagine per scrutare i rapporti fra uomo e l’abitare, attraverso opere di artisti italiani internazionali. Ci si addentra all’interno del borgo oltrepassando la pinacoteca di arte contemporanea, che ospita la mostra permanente d’arte contemporanea con le opere di Silvio Craia ed altri artisti, e si giunge al cosiddetto Spazio incontri. Capita allora di fermarsi un attimo ad ascoltare incantati le poesie di Wislawa Szymborska, interpretate da Meri Bracalente, voce ed ombra affascinante, che trasporta fino al limite della una soglia misteriosa, eppur raggiungibile, dei versi di questo premio Nobel. Si giunge infine al magnifico Teatro La Cava, inaugurato in occasione di Borgofuturo. Cava in disuso ed ora splendido anfiteatro naturale, ha avuto come primissimi ospiti musicisti eccellenti. A cominciare dal vitalismo degli Aedi, per poi passare agli Sweet Life Society fino al blues atipico e coinvolgente dei Comaneci. A chiudere il festival, sempre nello scenario della Cava, Capovilla de Il Tatro degli Orrori, che, con un’insolita veste, legge Pasolini. Una conclusione che lascia un po’ d’amaro in bocca in questo splendido festival, per una lettura un po’ stentata ed arrangiata(ma è solo una pecca rara).