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di Nicoletta Corneli
Caterina Palazzi e la sua band si collocano tra quegli artisti un po’surreali e stralunati che riescono attraverso il loro estro e la loro estrema professionalità a trasportarti in mondi contaminati dove il jazz, genere di colta improvvisazione, abbraccia e si fonde in modo sorprendentemente armonioso con il rock più spettinato, che trae le sue influenza dalla musica grunge dei mitici Nirvana.Il 19 giugno Caterina Palazzi, ha di fatto vinto una scommessa, portare questi due tipi di musica ad un livello superiore dove l’amore vero per il sound e la voglia di creare superano i confini di categoria e raggruppano persone apparentemente diverse tra loro. Nel cortile del pub “Terminal” di Macerata infatti, tra il pubblico che era intervenuto, c’erano sia amanti del jazz puro sia appassionati di musica rock sia curiosi dell’uno e dell’altro e nel mix ben riuscito dei pezzi suonati Caterina ha deliziato e accontentato tutti, coinvolgendo il pubblico in una performance accattivante e carica di energia.
La mia innata curiosità mi ha spinto ad avvicinare i componenti del quartetto poco prima dell’inizio dello spettacolo, e tra una risata e un bicchiere di vino, sono venuta a sapere che Caterina nasce consapevolmente come musicista imbracciando la chitarra e fonda il suo primo gruppo musicale sulla scia delle rock band femminili. In quella fase la musica dei Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd e Nirvana, con il loro sound malinconico e un po’dark, la marchiano a fuoco.
Il Jazz è stato un passaggio importante nella sua formazione, ha stregato questa artista e le ha donato una diversa sensibilità e questi due tipi di influenze l’hanno poi resa una specie di chimera sensuale e graffiante, che alla chitarra ha sostituito il contrabbasso.
Abbracciata a questo strumento così dominante e a volte così dominato dalla stessa esile figura dell’artista, Caterina si ispira nel suo sound al compositore e chitarrista Bill Frisell, passione che l’accomuna ad uno dei suoi musicisti, Giacomo. L’amicizia e l’intesa la legano a tutti i componenti della sua band, che dalla formazione originale ha apportato solo una sostituzione al sax, acquisendo Piero, che con la sua silhouette si staglia al centro della scena quasi iconografico. Con lui Caterina è un po’ come un regista con un attore, e Piero, per sua stessa ammissione trova assolutamente semplice capire come lei vuol dirigerlo, per cui si è raggiunto subito il mood giusto nel quartetto.
Con gli altri due musicisti invece, Maurizio alla batteria e Giacomo alla chitarra, Caterina non ha bisogno di cenni, poiché sono ormai diversi anni, che si trovano a viaggiare e suonare insieme e durante le performance il feeling e la concordanza sono assolutamente naturali.
I pezzi proposti durante la serata sono tratti in parte dal loro primo album, Sudoku Killer, e in parte dal nuovo lavoro che presenteranno a breve. Anche in quest’ultima raccolta i titoli dei pezzi richiamano ciò che ispira la creatività della leader che in questo caso si è rifatta all’ambito dei giochi di logica matematica giapponesi.
Uno dei primi pezzi suonati porta il titolo Hitori (lasciami in pace), e mentre la serata scorre veloce la sensazione è quella di essere trasportati e travolti al tempo stesso da queste note cupe e folli con sorprese di chitarra rock e assolo di sax carico di un allure tipico dei jazz club, entrate prepotenti della batteria ed il languido e inquieto contrabbasso.
Tanti momenti diversi ma un solo filo conduttore, la determinata voglia di comporre di Caterina, che, nonostante la sua giovane età, ha le idee molto chiare su come impostare il lavoro ed il processo creativo a monte di ogni pezzo. Il jazz non è solo improvvisazione ma anche un’applicazione ponderata di suoni e suggestioni precise, e Caterina predilige la musica scritta mentre con tutti i membri del quartetto lavorano molto sulle atmosfere. Futoshiki è un pezzo contaminato da interferenze di radiofoniche pertanto non posso fare a meno di chiedere il perché di questa disturbante intrusione, e Caterina mi spiega che il titolo del pezzo si traduce come un ode ai codardi, dove l’inizio doveva dare un’ idea di grottesco. Un’altra suite molto interessante è Maisu ( influenze diaboliche), e qui ritroviamo tutte le sonorità che richiamano l’energia pura e cupa dei Nirvana.
A fine serata la band sta per salutare ma il pubblico chiama un bis e viene accontentato con il pezzo Vampiri, una storia noir che si dispiega su note che via via diventano terrorizzanti e senza accorgermi immagino tutta la scena e mi convinco che questo quartetto rende davvero la musica immagine e traduce l’immagine in musica.