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di Ilaria Piampiani

“Come descriverebbe la sua poesia, sempre se sia possibile descrivere un qualcosa come la poesia…”
“HARD! Difficile, impegnativa, intensa!”

In un pomeriggio di prima estate, un pomeriggio colmo di nubi, indeciso se sfogarsi in una pioggia rigenerante o meno, incontriamo, nella floreale cornice di Musicultura, una donna dal sorriso spontaneo e dallo sguardo denso, avvolta in una camicia di seta e in gioielli dal sapore orientale, una donna poetessa, pronta a raccontarsi e svelarsi in un incontro intimo e prezioso.

Lei è Rachel Blau DuPlessis, nata nel 1941 a Brooklyn, New York, autrice di saggi critici fondamentali per la comprensione della letteratura americana del Novecento, che si è fatta conoscere nel pomeriggio del 22 Giugno in occasione della presentazione della prima traduzione italiana della sua opera, il poema- mondo Drafts (Bozze), curata dalla saggista- poeta Renata Morresi e pubblicata dalla casa editrice maceratese Vydia.
L’incontro tra le due donne, racconta quest’ultima, è avvenuto molti anni fa, un incontro a più puntate, potremmo dire, che nasce dalla lettura degli illuminanti saggi critici che spaziano dalle figure femminili della letteratura del ventesimo secolo alla considerazione di tematiche come la razza, il genere e la religione filtrate dalla cultura e dalla “modern poetry”: la “conoscenza” si è approfondita poi attraverso la comune passione e vocazione per la poesia, coltivata e vissuta da entrambe senza riserva.
“E’ stato meraviglioso incontrare una donna che non si scusasse di essere poetessa, che si mostrasse fiera e orgogliosa, lontana da qualsiasi sentimento di vergogna.”
Noi italiani, seguita la Morresi, senza saperne il motivo ci sentiamo quasi in colpa di essere poeti, è come se ci sentissimo in difetto. Riconosciamo in queste parole quasi la timidezza, l’impossibilità e la voglia irrefrenabile di nascondersi della lapidaria rassegnazione montaliana riassunta nel “non chiederci la parola”, l’inadeguatezza per una “professione di fede poetica” non rispondente alla frenesia di una realtà caotica e materialista, quasi insensibile ormai alle piccolezze “le nugae catulliane” che ogni momento, ogni giorno ci riserva.
Negli occhi verde smeraldo della DuPlessis ritroviamo invece tutto questo: ritroviamo la semplicità nel labirinto, la memoria, l’epifania, il ricordo, il dolore per l’atrocità che attanaglia la storia e il presente, il mormorio, la fuga e il ritorno, l’indicibile e la necessità di esprimersi. Ritroviamo l’intensità, la durezza, la vita ma soprattutto, come lei stessa mi ha confidato, ritroviamo noi stessi, il nostro riflesso, ciò che ci appartiene.
Rachel è una poetessa che scende “dalle torri d’avorio” e dai troni dorati su cui siede la tradizione, per sbarcare nella “terra desolata” di Eliot, per narrare la vita e il suo filo che si dipana nelle ore e nei minuti, un filo conduttore che attraversa un poema composto in trent’anni, generoso e insaziabile, documento e monumento di un dialogo continuo e instancabile con la tradizione stessa, inglobata nel silenzioso colloquio delle lettere stampate. Le sue Bozze sono un taciuto momento di condivisione con il lettore che si confronta con la femminilità, il presente e il passato, la rivelazione e l’evanescenza della scrittrice stessa.

Quando ho chiesto a Renata Morresi quale tra i diversi “momenti” del poema possa raccogliere tutto ciò che si cela nello sguardo smeraldo della DuPlessis, risponde: “ Il numero 17. Possiamo trovarvi l’America, la sua storia, la criticità vissuta nella guerra con l’Iraq, lo sguardo sul mondo, la sofferenza per gli orrori della Shoah. Lei può parlare delle grandi cose come delle piccolezze.”

Ore 19 e 10. Le nubi hanno deciso di contenere la pioggia nel loro abbraccio, il sole non si è mostrato. Le sedie sono rimaste vuote dopo l’incontro. Mi congedo con una stretta di mano dalla DuPlessis, conscia di aver ricevuto qualcosa, rivissuto qualcosa attraverso “la felicità del fare/ con l’aperta lucentezza dell’ascolto”, convinta di essere partita e allo stesso tempo approdata.