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di Lucia Cattani
Nel cuore del porto di Ancona si è conclusa, domenica scorsa, la stagione concertistica di quest’anno organizzata dall’associazione Amici della Musica: la violinista Isabelle Faust ha salutato dopo un decennio la città che già l’aveva accolta, giovane promessa esordiente e vincitrice di un importante concorso internazionale. L’insolita scelta della location è stata resa possibile dal fatto che non fosse necessario, nello spettacolo, il pianoforte a coda: per il solo violino l’Auditorium della Mole si è rivelata senza dubbio una scelta particolarmente suggestiva sia per la posizione, una sala del Lazzaretto, sia per i colori sgargianti delle pitture di cui il teatro era adorno. Questi elementi si accordavano perfettamente al repertorio in programma, delle Sonate e Partite per violino solo di Bach, esaltate dall’isolamento del mare e dalla percepibile lontananza dai tumulti della città. Il risultato di questo particolare connubio tra musica e isolamento ha esaltato l’esecuzione delle Partite e della Sonata, anche se certo il ruolo decisivo è stato rivestito dalle notevoli capacità comunicative ed artistiche della musicista.
Il concerto, per volere della Faust, non ha avuto interruzioni in modo da non compromettere l’atmosfera creata dai tre brani: senza dubbio è riuscita nell’intento di incantare per mezzo di archetto e corde tutta la platea gremita, di legare il pubblico alla melodia incredibilmente sottile e delicata del suo strumento con una potenza inaudita. Bisogna sottolineare la difficoltà insita in questo proposito: il violino non nasce certo come strumento solista; è molto più frequente vederlo nell’ambito orchestrale o in un quartetto, o almeno in un trio essendo uno strumento essenzialmente monodico. Proprio Bach sarà trai primi ad allargare le potenzialità di questo strumento, che attraverso le Sonate e Partite troverà alcuni tra i più notevoli esempi di quanto siano estese le proprie capacità espressive. Non c’è alcun sostegno armonico a rafforzare la voce del violino, in questi ottanta minuti ininterrotti di esibizione, ma pure il canto non viene inghiottito dalla grandezza disarmante della sala colma di spettatori: tutti trattengono il respiro in modo da non perdere la più piccola sfumatura della musica. Nella sua piccolezza il violino sembra far brillare la sua poesia profonda, che talvolta non viene del tutto colta nel tumulto dell’orchestra.
Il concerto si apre con la Partita per violino solo n.3 in Mi maggiore, BWV 1006 che vede protagonista del primo movimento un preludio dal ritmo continuo ed incessante, dall’armonia che si appoggia soprattutto alle note del basso. Lo scenario che si concretizza è d’aspetto cristallino, dinamico e vitale, la voce del violino è argentea e impeccabile, sempre profusa di quel rigore vivido che domina l’opera omnia di Bach. Nel momento centrale della partita, in particolare nella Gavotta in Rondò ci troviamo di fronte allo sdoppiamento della voce sempre inframmezzato dal riaffiorare del ritornello: si tratta quindi di un inizio decisamente vivace e gioioso che mette il pubblico a proprio agio.
La successiva Sonata per violino solo n.3 in Do maggiore, BWV 1005 pone di fronte ad un contesto diverso: l’Adagio che introduce la Sonata, con le sue reiterate figure puntate di seconda ascendente, è di natura più rigorosa ed inflessibile e conduce ad una fuga a quattro voci decisamente vasta. Isabelle Faust continua senza esitazioni riuscendo a far fluire il senso profondo dell’opera recuperandolo dalla sua complessità, pur non discostandosi dal rigore vigoroso e perentorio di Bach.
Subito il concerto procede con la più imponente Partita per violino solo n.2 in Re minore, BWV 1004. Se già con la Sonata l’atmosfera si era adombrata, ora il canto si fa malinconico e doloroso a volte in una serie di danze che altro non sono che il preludio della famosissima Chaconne, punto focale di tutto il concerto, probabilmente. Qui una serie di variazioni collegate tra loro portano alla metamorfosi continua del tema principale. Le semicrome, le biscrome, gli arpeggi virtuosi trascinano in un vortice che fa dimenticare del tutto i limiti del violino solo: sembra di trovarsi di fronte ad una vera e propria orchestra condensata tra le mani della Faust che in questo capolavoro sembra dare il meglio di sé. Nella Chaconne sembra prendere vita tutta la maestosità di Bach, in bilico tra musica sacra e celebrazione eroica, in cui l’uomo e la divinità convivono e dialogo, in cui forze demoniache sembrano imperversare spietate ed essere coraggiosamente combattute e sconfitte.
Come bis Isabelle Faust sceglie un’incantevole Sonata per violino solo di Johann Georg Pisendel, uno dei più rinomati violinisti virtuosi tedeschi, contemporaneo e probabilmente conosciuto da Bach: infatti si avverte una somiglianza vaga nella struttura, quasi eco dei brani appena eseguiti, posizionandosi sulla linea del connubio di rigore e leggerezza, semplicità ed espressività che ha dominato l’intera esibizione.
Immagine: http://www.sallegaveau.com