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di Camilla Domenella

Se ci fosse un modo sincero per spiegare, descrivere, riassumere le trascorse tre serate della Rassegna di Nuova Musica, quel modo, ahimè!, non sarebbe linguistico, ma musicale: avrebbe i suoni cupi di un contrabbasso, i timbri scuri, i ritmi variabili, incalzanti, precisi, nervosi.

La Rassegna di Nuova Musica, le cui prime serate di questa trentunesima edizione si sono tenute il 15, 16 e 17 Aprile, al teatro Lauro Rossi, è stata, quest’anno, un omaggio al suo fondatore Stefano Scodanibbio, scomparso nel Gennaio dello scorso anno.
Stefano Scodanibbio è stato un grande contrabbassista e compositore maceratese, che, con la sua opera, ha rivoluzionato il modo di suonare il contrabbasso e non solo.
Scodanibbio nasce come musicista, e per il suo talento si afferma in poco tempo nell’ambito musicale contemporaneo, diventando noto sia in Italia che all’estero.
La sicurezza acquisita come interprete, lo porta a tentare (con successo) la via della composizione, come affermava lui stesso nel 2003: “nel corso di quasi 25 anni dedicati all’interpretazione della letteratura contrabbassistica contemporanea ho avuto periodi vuoti, che ho speso abitando l’altro demone della musica, la composizione”.
Un demone, questo, che lo porta a inserirsi nell’Olimpo dei Grandi della musica classica contemporanea.
La Rassegna di Nuova Musica di quest’anno vede quindi come protagoniste le sue composizioni, interpretate da importanti musicisti come il flautista Manuel Zurria, il pianista Fausto Bongelli, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, il quartetto di sassofoni Alea, il quartetto d’archi Prometeo, gli 8 contrabbassisti Ludus Gravis, e, infine, il compositore e pianista Terry Riley, attesissimo per la futura serata del 12 maggio.

La prima serata, quella di lunedì 15 aprile, si è aperta con due prime esecuzioni italiane: quelle di “Plaza” e “vanishing Places” interpretate rispettivamente dalle trombe e dagli archi dell’Orchestra Filarmonica Machigiana, diretti dal maestro giapponese Yoichi Sugiyama.
Il pubblico si accomoda nel brusio tipico dell’attesa entusiasta pre-spettacolo. Gli spettatori ritardatari si affrettano a prendere posto, esortati dallo squillo dell’ultima campanella. Le luci si abbassano sulla platea; si accendono sul palco.
Sul fondo buio della scena vuota, si staglia soltanto l’esile figura del maestro Sugiyama. Dove sono gli strumenti? E i musicisti? Perchè il direttore è rivolto verso il pubblico?
Sugiyama, solo e piccolo sulla grandezza del palco, con una lentezza che culmina in un gesto deciso, alza una mano. Al suo cenno elegante, d’improvviso, dall’alto del teatro, si sente inconfondibilmente il suono d’una tromba!
I musicisti sono al terzo ordine di palchetti e suonano da lassù seguendo fedelmente la danza gestuale di chi li dirige.

Solo con la successiva esecuzione, quella di “Vanishing Place”, da parte degli archi, i musicisti torneranno ad occupare il palco.
Lo spettacolo prosegue con “Geografia amorosa”, un solo di contrabbasso egregiamente eseguito da Giacomo Piermatti. I suoni che escono dalla grande pancia dello strumento classico, cupi, acidi, ansiosi, ricordano quelli quasi metallici della musica elettronica. Questa commistione di contemporaneo e di classico crea una tale suggestione che impossibilmente la platea rimane indifferente.
La prima serata si è poi conclusa col quartetto di sassofoni Alea, che ha interpretato la splendida “Lucida Sidera”.

Dopo l’incanto della prima sera, vi era il timore di ricevere una delusione per la seconda. Timore che però si conferma infondato.
Non appena la scena si illumina, la prima nota riecheggia sinuosa nell’aria affascinata del teatro, rimbalzando sui fregi, sbandando nei palchetti, vorticando sulla platea, e infilandosi infine nelle orecchie estasiate degli astanti.
Così sono stati eseguiti dai violini, dalla viola e dal violoncello del Quartetto Prometeo, sette brani (“Contrapunctus V”, “Làgrima”, “El testament d’Amèlia”, “Andante”, “Cuando sale la luna”, “Bèsame mucho”, “Sandunga”) tratti dal CD “Reinventions”, trascrizioni di Scodanibbio per quartetto d’archi.
La seconda parte della serata, vede protagonisti il flautista Manuel Zurria e il ballerino e coreografo Virgilio Sieni. Un cambio di programma sposta i brani in scaletta. Il primo pezzo sarà quindi “Voyage Resumed”, per flauto e nastro. A seguire, la prima esecuzione italiana di “D’improvviso in una notte di maggio”, e infine “Ritorno a Cartagena”, per flauto basso. L’esibizione musicale di Zurria è affiancata, nel primo e nell’ultimo brano, da quella coreografica di Sieni. Il flautista, sulla sinistra della scena, lascia il resto del palco al ballerino, che lo riempie con l’essenzialità intensa della danza . Sieni si muove come invaso e percorso dalle note, trasformando la musica in una materia concreta e dinamica. La sua coreografia ricorda i “gesti” di un bruco che, con fatica, per tentativi, con ostinazione istintuale, diviene farfalla, a sottolineare come la musica sia terrena ed evanescente allo stesso tempo.

Lo scroscio di applausi con cui si è conclusa la seconda serata è stato lo stesso con cui il pubblico, numeroso e giovane, ha accolto il pianista Fausto Bongelli, all’inizio della terza.
Bongelli ha proposto la prima esecuzione assoluta di “Labore navigacionis”, incantando la platea, trasportando gli uditori avanti e indietro sulla tastiera del suo pianoforte.

La terza serata si è conclusa con l’incredibile performance dei Ludus Gravis, l’ensemble di contrabbassi nato dall’artisticamente fecondo incontro tra Stefano Scodanibbio e Daniele Roccato. Gli otto contrabbassisti, diretti dal maestro Tonino Battista, hanno eseguito “Ottetto”, l’opera commissionata dalla Rassegna di Nuova Musica, dalla Biennale Musica di Venezia, e dal Festival Internazionale AngelicA di Bologna.
Una formazione di soli contrabbassi è già, di per sè, una proposta originale. Con le luci ancora spente sul palco, le sagome degli otto contrabbassi somigliavano a quelle di delfini arenati su una spiaggia, abbandonati ma fiduciosi. I musicisti, finalmente entrati in scena, sembravano intervenuti per salvarli.
La musica che ne usciva era potente, suggestiva, alienante, come sarebbe stata quella di un Beethoven che avesse conosciuto gli Einsturzende Neubauten.
I Ludus Gravis hanno regalato al pubblico 45 minuti di elevatezza, innovazione, tecnica, passione musicali: il pubblico li ha ripagati con 3 minuti di applausi.

Durante le tre giornate del festival, nello spazio Mirionima accanto al Lauro Rossi, era visitabile l’installazione del regista argentino Rodrigo Garcia, dal titolo “Oltracuidansa (lettera rispedita al mittente)”, ispirata al brano omonimo di Stefano Scodanibbio.
Rodrigo Garcia ha allestito un “film” attaccando uno dietro l’altro alcuni video girati col suo telefonino, sul sottofondo musicale del brano dell’amico Scodanibbio.

Ora, trascorse queste tre serate, ci confrota l’attesa per il quarto e ultimo appuntamento di questa edizione della Rassegna di Nuova Musica. Domenica 12 Maggio, il festival ospiterà il compositore Terry Riley, grande amico di Scodanibbio e personalità chiave della musica classica contemporanea.
Riley proporrà “In D”, versione di Stefano Scodanibbio di “In C”. Il simbolo “D” indica, in inglese, la corda Re, quella che più si presta ad articolazioni timbriche dello strumento di Scodanibbio. Sarà un saluto, allora, quello di Riley.
“D”, come l’unica consonante della parola “addio”.

In foto:i Ludus Gravis