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Ascanio Celestini, carceri, conflitto sociale, gianni lorenzetti, Giuseppe Mazzini, La fila indiana, La pecora nera, Lauro Rossi, lotta di classe, precari atesia, Pro patria, Resistenza, Risorgimento, simone palucci
di Gianni Lorenzetti
La pecora nera Ascanio Celestini ha messo in perfetta Fila indiana una serie di spettacoli che porterà nelle Marche e stasera, al teatro Lauro Rossi di Macerata alle 21, sarà la volta di Pro Patria, senza prigioni, senza processi. Risorgimento, resistenza e lotta armata, conflitti sociali, liberazione continua da soprusi, oppressori e padroni, tutto visto dal carcere, anzi da un carcerato dei giorni nostri, che potrebbe essere un eroe o un terrorista, dipende da chi ne parla. “Come Mazzini – dice Ascanio Celestini – che lo Stato italiano, alla sua morte lo considerava ancora un pericoloso delinquente, mentre per noi, oggi, è un eroe”. Ma Pro patria non è uno spettacolo sul Risorgimento, sulla lotta di classe o contro gli oppressori, almeno non solo. “No, infatti – continua Celestini – fondamentalmente è uno spettacolo sull’odierna condizione carceraria, o almeno lo è diventato, perché inizialmente era nato in maniera diversa. Per Pro patria ho preso spunto da una lettura sul Risorgimento che avevo fatto con il teatro stabile di Torino, ho fatto un lavoro di ricerca, d’archivio, ho letto diverse pubblicazioni di memorie. Poi il lavoro si è evoluto, si parla della storia italiana, ma in realtà il tema di fondo, che affiora, è quello carcerario, l’attuale situazione carceraria, anche se ho iniziato a fare incontri in carcere solo dopo il debutto. E’ stato un lavoro particolare, diverso rispetto ad altri. A volte certi spettacoli nascono di getto, d’improvvisazione, oppure alcuni li ho costruiti su delle interviste, per Pro patria tutto è stato frutto di un lavoro di ricerca”.
Oggi come viene affrontato il conflitto sociale?
“Innanzitutto viviamo in un Paese dove c’è quotidianamente un conflitto di classe, perché ovviamente ci sono diverse classi sociali che si esprimono in continuazione, dalla più forte alla più debole. Impedire che ci sia sopraffazione da parte del più forte verso il più debole è possibile, ma a livello territoriale, quando vicino casa vogliono piazzare una discarica o un inceneritore, cementificare e disboscare. I territori sono pieni di movimenti che lottano tutti i giorni, che portano avanti quasi in clandestinità i conflitti, battaglie specifiche. Allora nascono i No tav, i No ponte, i No Dal Molin e così via. Ecco, quello è il modo migliore di fare politica, perché oggi a livello nazionale tutto si perde in una bolla vuota, allora bisogna lavorare fuori dai partiti, dai sindacati e dalle televisioni, perché la politica si fa in strada, nei territori, con le persone in carne ed ossa”.
E la politica di palazzo?
“E’ tale, scollata dai territori, dalle vere lotte, ma se la lotta è continua e costante, può esserne influenzata, mi viene in mente la lotta che fece nel 2006 e 2007 il collettivo precari Atesia, un enorme call center di Roma dalle condizioni lavorative allucinanti. Il collettivo, a furia di lotte e proteste riuscì a spuntarla, a focalizzare l’attenzione dell’allora Governo Prodi e l’Atesia fu costretta ad assumere con contratti a tempo indeterminato tutti i precari, creando un importante precedente”.
Lei fa teatro, ma ha lavorato anche in televisione e nel cinema. Predilige una delle tre arti?
“Non ho preferenze particolari, anche perché considero sempre che la cosa più interessante sia raccontare una storia. Il mezzo influisce più su una questione tecnica che sul contenuto. Devo dire che tutte e tre le forme danno stimoli interessanti, il linguaggio è, fortunatamente, flessibile”.
Come considera le Marche?
“E’ una bella regione, ma rispetto agli anni passati la differenza tra una regione e l’altra non esiste quasi più. Voglio dire, non credo che ci sia uno specifico marchigiano rispetto ad altre regioni, quella è la politica che crede che ci sia un laboratorio Marche, non io. E’ un territorio con i suoi conflitti, con le sue bellezze e le sue discrepanze, differenze sociali, si estende dalla montagna fino al mare, come nelle altre regioni. Direi che le Marche sono in linea con il resto del Paese”.