Tag
Ancona, bronzo, Cirilli Letizia, mole vanvitelliana, Museo Tattile Statale Omero, valeriano trubbiani
di Letizia Cirilli
“La favola delle cose”, è la particolarità del sentiero artistico di Valeriano Trubbiani che si percorre nelle sale della Mole Vanvitelliana se si riesce a lasciare da parte il resto, soffermandosi alle sensazioni che l’odore e rumore del bronzo rivelano dietro ombre che si riflettono e tentano di liberarsi da un senso di soffocamento desiderose di uscire da una realtà ridotta a una trappola.
Che la vita sia precaria si può immaginare racchiusa nelle scene dei “Ponti”, nelle quali treni e animali sono arrivati alla fine di qualcosa che non continua, in quel momento non esiste un futuro!
“C’era una volta”.. racchiude 20 scene distinte, ognuna delle quali ha una vita a sé; collegamenti con animali e natura si mescolano sin dall’inizio del percorso nel quali strane armi intrappolano simboli, anatre al cartoccio, tacchini incravattati protagonisti di sculture tenute in spazi delimitati da tendine rosse plastificate che richiamano l’ambientazione di un laboratorio medico tra sperimentazioni scientifiche ed autopsie.
Uscendo dai “camerini” si passa tra delle reti nelle quali l’ ascolto di battiti d’ali, uccelli che tentano di liberarsi lasciano al momento una sensazione di impotenza e claustrofobia aprendo alla fine un varco nello “Stato d’assedio” nel quale si incontrano “Morte Stagioni”: la cattura di cornacchie ci vengono presentate appese in attesa di un’improbabile volo, ti viene voglia di avvicinarti, tagliare la corda che le incatena e liberare i corpi che puoi ascoltare nel silenzio di ciò che ti circonda nell’immobilità, avvicinandoti poi sempre più fino a sfiorare e toccare il bronzo che trasmette un suono di morte nella mano, fredda.
Accompagnano il percorso della mostra una “Transumanza lucertiforme”, protagonisti lucertoloni di diversi colori arrampicati quà e là, scattanti sui muri mentre nel sottofondo il rumore del mare, del vento, ” E la nave và ” di Federico Fellini nella visione di sculture di navi e corazzate così si imposta la scenografia dell’artista ispirato al monumento funebre di Rimini. Poi un tuffo nel passato, tra ” Elmi, caschi, scafandri, borgognotte,Città, Dimore, Turris” entriamo nel Colosseo che ospita giganti spadoni inquietanti per la loro enorme grandezza, quasi ci spaventano ma sono gli stessi per le loro dimensioni o fa più paura l’idea che qualcuno riesca e possa impugnarli?.
“Ractus, ractus” sembra lo scenario perfetto per il Re dei topi di Cajkovskij nel quale la degradazione, il male e l’incombenza di morte disgusta la vita scendendo nell’inferno delle fogne; risalendo dal tombino vi è il silenzio del giorno la notte dà voce a creature quali pipistrelli padroni delle tenebre.
Dalla scena “Batraci” troviamo una rana gonfia fino alla morte, comunque vada scoppierà; sorrido cinicamente pensando alla favola di Fedro “la rana e il bue” ma in questo caso non si tratta di invidia ma di un destino segnato tra una spada di Damocle invertita alla base del terreno e una bombola di gas da cui dipendere.
Passando tra “Putti, giochi di mare e di cielo” vediamo bambini vestiti di cuoio e ci chiediamo se il significato di tale vestizione è veramente per farli crescere con le gambe diritte?o ingenuamente una terribile tortura?un destino prefigurato circondato da un’arma a doppio taglio.
Un labirinto, e poi disegni, carboncini e inchiostro colorato appesi alle pareti ci conducono oltre la siepe a Leopardi scolpito nel bronzo e in immagini create con il pirografo.
Ma chi c’è veramente dietro le quinte delle “scene?” Valeriano artista locale, scultore italiano nato a Macerata nel 1937, dimora della sua nascita professionale nella quale ritorna nel 1960 dopo essersi diplomato all’Istituto d’Arte di Macerata e presso la “scuola del nudo” all’Accademia di Belle Arti di Roma ,dunque sarà a Villa Potenza il luongo nel quale inizia a dedicarsi alla scultura; dal ’62 partecipa a rassegne e mostre nazionali ed internazionali ottenendo importanti premi e riconoscimenti, esponendo le sue opere alla Biennale di Venezia nel 1966, nel 1972 e 1976 per poi passare alla Quadriennale di Roma dal 1959 al 1999.
Scavalcano il confine italiano facendo il giro del mondo, i suoi lavori raggiungono Johannesburg, Il Cairo, Malindi, Teheran, New York, Montreal ,Graz, Lisbona, Budapest, Londra, Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Berlino, Helsinki, Anversa, Lugano, Atene, ed altre.
Il suo nome negli anni viene menzionato dallo scrittore Josè Saramango nel romanzo “Manuale di pittura e calligrafia” e molti altriscrivono di lui: G. C. Argan, E. Crispolti, P. Restany, E. Jaguer, G. Marchiori, C. Ragghianti, F. Bellonzi, C. Zavattini, V. Apuleo, P. Zampetti, R. Bossaglia, E. Carli, C. Pirovano, R. Huyghe, R. Barilli, M. Valsecchi, L. Beatrice, F. De Santi, A.Ginesi, Carlo Bo, E. Sanguineti, D. Morosini, F. Scarabicchi, F. Dubrovic. Tra le sue opere ricordiamo Gruppo scultoreo Mater Amabilis in Piazza Pertini di Ancona; Croce astile nella Cattedrale di San Ciriaco ad Ancona; Sculture devozionali nella Chiesa dei santi Cosma e Damiano di Ancona; Sculture all’aperto e all’interno della città universitaria di ingegneria di Ancona; Sipario tagliafuoco per il Teatro delle Muse di Ancona e numerose altre opere sono sparse per il mondo dagli Stati Uniti al Giappone.
Così lo scenario teatrale delle sue opere ritorna nel territorio nel quale è nato, nell’originalità di una mostra al di fuori dei canoni museali ai quali siamo abituati, dunque non ci siamo accontentati di vedere ma toccare in senso fisico approfittando della possibilità di poterlo fare quasi timorosi e sorpresi rendendoci partecipi e protagonisti della favola, perché le cose attraverso la nostra immaginazione prendono vita se ci crediamo veramente!
De rerum fabula sarà ospitata nella Mole Vanvitelliana- Museo Tattile Statale Omero, ad Ancona fino al 17 marzo.
Le sculture, anche se sanno di claustrofobica finitezza, paradossalmente comunicano anche la vita… la vita che è stata, che ritorna visibile in quella realtà di magnificenza che solo il bronzo riesce a comunicare.