Venerdi 1 febbraio alle audizioni live di Musicultura suonerà Ducadombra, un singolare pioniere di musiche d’altri tempi. Poliedrico, e velato da uno pseudonimo, evoca con i suoi liuti ambientazioni medievali, mentre fragori elettrici lo lanciano sul palco dei tempi moderni. Lui il suo ponte tra passato e futuro l’ha musicato dopo anni di formazione, studio e dedizione, così come solo gli appassionati fanno, dimenticandosi delle mode isteriche degli altri. Ducadombra ricerca l’Altro nelle notazioni musicali dei secoli lontani, lo introduce nel suo linguaggio, fa in modo che strumenti antichi dialoghino con quelli dell’ultima generazione: il risultato è un affresco milleluci di contaminazioni sonore.
- Il tuo ultimo lavoro si chiama Tempus Machinae. Per quanto tempo ci hai lavorato e qual è il concetto alla base di questo titolo così evocativo?
Tempus Machinae per me non significa esattamente, come può sembrare, “macchina del tempo” (sebbene anche questa definizione non sarebbe certo fuori luogo): il Tempus designava anticamente il parametro atto ad indicare le diverse formule ritmiche musicali, i modi ritmici e le prolationi; Machinae significa sostanzialmente “progetto”. La congiunzione dei due termini latini, ha per me un significato legato ad aspetti semantico-musicali, non solo in riferimento alla musica antica, e vuole suggerire un concetto traducibile come “Progetto ritmico” (questo sotto un aspetto puramente tecnico) o anche “Cantiere musicale” (traduzione personalissima e forse più evocativa).
Lavoro a Tempus Machinae da sempre, dico questo perché un progetto di questa ambizione e con una tale stratificazione di significati e continui rimandi tra mondi musicali e culturali apparentemente lontanissimi, non si può certo concepire in un anno o due. Queste idee, queste contaminazioni musicali a ritroso nei secoli, sono sedimentate lentamente in me e nella mia consapevolezza musicale, di pari passo con la mia attività di studio e di lavoro con la musica (non solo quella antica).
- Tempus Machinae ha influenze ed echi di musica medievale. E’ forgiato da sonorità che di certo si distaccano da quello delle canzoni che siamo abituati ad ascoltare nella produzione contemporanea nel nostro paese. Che impatto pensi possa avere questo ‘sound antico’ sul pubblico?
Credo dipenda dal tipo di pubblico: un pubblico musicalmente acculturato non potrà di certo non sussultare all’ascolto delle mie canzoni, riconoscendo in esse i tratti salienti dell’idioma e della struttura compositiva appartenente ad una civiltà musicale scomparsa; il pubblico invece abituato a fruire un certo tipo di musica un po’ più legata a dinamiche commerciali e tendenze imposte dalla diffusione massificata dell’evento sonoro, potrà, a mio avviso, compiacersi dell’ascolto di un lavoro ben fatto, onestamente confezionato, e ricco comunque di segni comunicativi legati alla realtà odierna in ogni suo aspetto.
- Parlaci del tuo trascorso musicale, le esperienze che ti hanno plasmato. Vista la tua passione per i repertori musicali medioevali, quali sono i compositori che maggiormente hanno dato linfa al tuo tratto musicale?
La musica che da sempre più mi interessa in qualità di studioso è quella anonima, quella che non riporta il segno di appartenenza ad una persona o ad un artista definito, ma quello di una intera area culturale e di una intera comunità, sia essa musica sacra che profana. Gli anonimi rappresentano quel substrato culturale degno, a mio avviso, di essere indagato in ogni sua più piccola sfaccettatura.
- Contemporaneo e musica antica, elettronica e liuti. Cosa ricerchi in questo intreccio? C’è un intento comunicativo dietro queste congiunzioni?
Certamente si, è lo scopo principale del mio lavoro. Credo che esista un misterioso link che lega l’espressione artistica umana del lontanissimo passato con quella, non già del presente, ma addirittura del futuro. La musica antica, o “originaria” come mi piace in modo più coerente definirla, per me non è tale nel senso che la sua espressività non può più essere letta e decodificata dalla sensibilità dall’uomo moderno; pur essendo stata legata a rituali di fruizione, in parte (ma non sempre) diversi da quelli di oggi, il suo potere emozionale ed evocativo resta intatto, come per miracolo.. d’altronde nessuno di noi reagirebbe diversamente davanti ad un quadro di Leonardo o una poesia di Petrarca, dunque perché dovrebbe essere diverso per la musica??
Il discorso diventa invece molto diverso, a mio parere, se prendiamo in esame opere musicali di un passato meno remoto, come quelle del periodo Barocco o Classico, dove il linguaggio sonoro, forse per via della sua più sviluppata propensione al tecnicismo compositivo, resta inesorabilmente più vincolato all’espressione di un’epoca passata.
- Le atmosfere create dall’ascolto dei brani sono oniriche e ciò è dato in gran parte anche dai testi. Come nascono?
A volte l’opera musicale nasce da un idea testuale ed a volte invece si inverte la vettorialità dell’ispirazione (se così vogliamo chiamarla). I miei testi sono volutamente trattati con le tecniche della logica e della retorica antica, faccio largo uso di strutture metriche appartenute a quella specie di “setta culturale” che furono in Italia gli Stilnovisti, forse i più grandi innovatori della parola rimata. Il mio brano Ogni volta ad esempio, è nato da un mio desiderio di scrivere un componimento testuale con l’antica tecnica della “rima a specchio” tanto cara ai poeti trecenteschi: si tratta infatti di una struttura ABCCBA, inconsueta e per certi aspetti criptica. Un tema che mi piace toccare è quello dell’amore, ma inteso come lo intendevano gli stilnovisti, ovvero veicolo semplice e condivisibile per parlare segretamente e occultamente di altro. Un altro tema che mi tocca profondamente è quello della situazione politica e sociale contemporanea, sempre rivisto ed elaborato alla lente delle strutture poetiche stilnovistiche. Scelgo spesso di cantare la lingua italiana con un lessico particolare ricco di sfumature trecentesche, a volte mi cimento anche nel giocare con lingue antiche come il latino, nonché quelle scomparse dell’Europa del nord come il catalano, il portoghese, il provenzale.
- Hai intenzione di ricreare anche durante i live la stessa mescolanza tra rock e strumenti antichi?
Assolutamente si, il progetto verte proprio su questo aspetto: tra l’altro, essendo specializzato sugli strumenti a plettro di ogni epoca e di molte culture diverse, tralascio volutamente gli strumenti “classici” e quelli che generalmente si insegnano nelle accademie, che non mi interessano in quanto i suoni che producono sono estremamente poveri e scarsamente evocativi rispetto a quelli che mi sono scelto come compagni di viaggio.
- Pseudonimo e foto in chiaroscuro: sicuramente questi due elementi delineano un personaggio piuttosto misterioso. E’ un modo per restare estraniato assieme alla tua musica dalle reminescenze del passato?
Non voglio affatto restare “estraniato” o in alcun modo dissociarmi dalle reminiscenze del passato che così tanto hanno da offrire, la scelta di non apparire nella comunicazione con il mio vero e riconoscibile volto è più che altro speculare a quella dei “travestimenti”, ovvero le tecniche di elaborazione medievali utilizzate per comporre i brani originali che ho fatto accadere in musica.
- Porterai avanti questa sperimentazione del rock melismatico o in futuro hai intenzione di intraprendere altri percorsi?
Comporre melodie melismatiche è certamente una fonte di grande soddisfazione per me; non escludo ovviamente di portare avanti la sperimentazione sul discorso melodico (non entro qui in merito su quello armonico) magari partendo da spunti diversi. Di pari passo con lo studio, che è quotidiano e accurato, spesso crescono e si evolvono anche le aspirazioni compositive ed espressive.
(nella foto Ducadombra)
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