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mille anni ancora

di Manuel Caprari

Penso di essermi innamorato di Fabrizio De André quando, a 13 anni, ho sentito un mio zio parlare de La Guerra di Piero. Non avevo idea che in una canzone si potessero toccare argomenti tanto delicati, né che da adulti si potesse parlare di una canzone con la foga e la passione con cui ne avrei potuto parlare io coi miei coetanei. La molla è scattata quel giorno. Poi le canzoni di De André mi hanno accompagnato per i 25 anni successivi, in svariati modi; mi hanno aperto la porta verso gli altri cantautori, non solo italiani, verso la passione per la poesia, per la scrittura, e chissà quanto peso hanno avuto in mille altre cose piccole e quotidiane, o immense ed esistenziali che siano.
Dal vivo l’ho visto una sola volta, a Porto San Giorgio, nel ’96, la tournée di Anime Salve, l’ultimo album, a mio avviso anche il più bello. Non c’ero invece allo Sferisterio, nel ’98, e quello fu uno dei suoi ultimi concerti. Da quando ci ha lasciato le iniziative e i concerti in sua memoria si sono susseguiti e si susseguono con una costanza che testimonia quanto abbia inciso nel nostro immaginario e nella nostra memoria, e di quanto sia lunga e laboriosa l’elaborazione di questo lutto. Io per anni queste commemorazioni le ho anche un po’ evitate, con un senso di quasi gelosia: volevo tenermi per me il ricordo di quanto hanno significato per me le sue canzoni, e il ricordo dell’attesa di un suo nuovo disco, che poteva durare anche anni ma veniva sempre generosamente ripagata. Fortunatamente siamo esseri umani, non monoliti, e d’altra parte gli anni passano. Per farla breve, il concerto di sabato 12 gennaio al Lauro Rossi non me lo sarei perso per niente al mondo.
Ellade Bandini, batterista; Giorgio Cordini, chitarrista, e Mario Arcari, agli strumenti a fiato; loro tre, collaboratori storici di De André, insieme ad altri sette giovani musicisti hanno creato questo progetto, “Mille anni ancora” che ripropone concerti interi di De André, seguendone la scaletta originale. Sabato, in anteprima nazionale, hanno eseguito lo spettacolo teatrale “Donne e Uomini” del ’92. La scaletta è composta soprattutto da brani estratti da album come “La Buona Novella” e “Creuza de Ma”; dalle riscritture dei brani di Leonard Coen e di Brassens; ma anche da pezzi scritti insieme a Bubola; e c’è anche quella lunghissima “Amico fragile”, dall’album scritto con De Gregori, che a me è sembrato un po’ il fulcro del concerto, per lo spazio che lascia ai musicisti, per l’intensità delle sue atmosfere e per la complessità del testo e del suo rapporto con la musica.
La scelta di non limitarsi a un greatest hits, a una scaletta da gran revival, serve a scavalcare ogni trappola gratuitamente nostalgica e permette di entrare nel vivo della forza creativa di Fabrizio: questi musicisti eseguono un repertorio, che loro stessi hanno in parte contribuito a creare e diffondere, e che, sarà ovvio dirlo, è bellissimo, sia dal punto di vista dei testi, che delle melodie, che degli arrangiamenti; e lo ripropongono in maniera fedele ma non imbalsamata, anzi, viva, pulsante; e forse quello che emerge, alla fine di questo concerto, più ancora che il De André poeta, è il De André musicista e compositore.
Fatalmente, e comprensibilmente, la maggiore curiosità e forse anche scetticismo del pubblico che riempiva il teatro fino all’ultima poltrona si convogliava sul cantante, Alessandro Adami. Scetticismo che si è sciolto subito, appena ha cominciato a cantare: allo stesso modo di De Andrè, ma senza imitarlo. Si sente che sulle parti cantate si è andati in profondità, che ci si è addentrati nelle parole, nel suono e nel ritmo della parole, per coglierne il senso più profondo. Per coglierne la bellezza, come, ci ha ricordato Cordini, cercava di fare De André quando riadattava Nancy o Les Passantes.
Due ore e mezzo di esibizione, senza pausa (“La sigaretta ve la fumate dopo”, dice Cordini, col tono di chi non fuma), compresi i tre bis, e chiusura con “Andrea”. A luci accese, come era solito eseguirla De André, perché, come ci ricorda ancora Cordini, Andrea parla di omosessualità, e nessuno deve vergognarsi di essere quello che semplicemente è.