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Matthew Lee

di Simone Palucci

“Forse non si direbbe, ma in questo momento mi sta appassionando la musica country americana”. Matthew Lee, il distruttore di pianoforti, il ballerino degli ottantotto tasti, la vera e propria Great balls of fire nostrana, lascia piacevolmente sorpresi. Il pianista, pesarese d’origine ed internazionale di fama, stasera alle 21,15 demolirà a suon di note il teatro Farnese di Cingoli, in occasione del terzo appuntamento del San Severino Blues Festival, battendo sui tasti con mani, piedi, gomiti, di spalle e in una variegata quantità di posizioni diverse.
In giro per il mondo, e lungo lo stivale del Belpaese, racconta che ama i viaggi in Italia perché invece dell’aereo, come gli capita di fare all’estero, con la sua band usa un pulmino. “Ed è spassoso da morire. Questi viaggi su quattro ruote”, dice Lee, “magari da Milano a Matera, noi li chiamiamo mazzate, infatti succede di tutto, diciamo che se la musica incarna il settanta per cento della passione, il viaggio incarna il restante trenta. Una volta in Calabria abbiamo forato ed il cambio gomma è stato da comiche. Oppure l’altro giorno, a Matera abbiamo mangiato lungo via dei mercati in una specie di gabbiotto assurdo. Che dire, ogni volta che andiamo in pulmino sono felice, adesso ho addirittura comprato una telecamera che mi porto ovunque. Riprendo viaggi, prove, dietro le quinte. Una roba da spaccarsi dalle risate”. Raccontata così sembrerebbe una sorta di Paura e disgusto a Las Vegas, solo che invece della ricerca del sogno americano si accarezza la musica, le sue pulsioni, la gioia dell’improvvisazione. “Questo è sicuro”, prosegue Lee, “noi abbiamo sempre un canovaccio da seguire, ma poi c’è l’improvvisazione, che è il quaranta per cento del divertimento. La musica ce l’hai nelle vene dalla nascita, la senti dentro, sai che non puoi fare altro, io ad esempio sono laureato in giurisprudenza, ma so perfettamente che non avrei mai fatto un lavoro attinente alla mia laurea. Mi piace suonare, ma adoro proprio il contatto con il pubblico, non rinuncerei mai al dialogo, non a caso durante i live faccio delle belle chiacchierate”. Matthew Lee vive la metà del suo tempo nelle Marche e l’altra metà a Londra, “dove suono, faccio concerti, ma scrivo anche, provo i pezzi, insomma sto sempre in giro, perennemente con il passaporto in mano”. Il Jerry Lee Lewis pesarese, che si è innamorato del grande pianista guardando il film Great balls of fire e ha deciso di omaggiarlo attraverso il suo nome d’arte, ha all’attivo tre album, Shake del 2006, prodotto da Beppe Carletti e dai Nomadi, Live on stage, del 2008, ed infine, del 2011, Matthew Lee and the Big Band. “Adesso sto lavorando ad un nuovo album”, confessa Lee, “e stasera a Cingoli ne darò un assaggio. Ho deciso di introdurre un po’ la lingua italiana nel mio lavoro e presenterò in anteprima una canzone di Edoardo Bennato, L’isola che non c’è, ovviamente completamente riarrangiata. Praticamente scordatevi quella che conoscete. Non solo, essendo pesarese e amante di Rossini probabilmente farò qualche pezzo che fonde il rock and roll alle melodie rossiniane, li suono spesso, e mi piace parecchio”. Tecnicamente straordinario, e apparentemente fracassone, Matthew Lee si diverte a far finta di rompere i pianoforti che suona. “Più che altro mi diverto a spaventare gli organizzatori dei concerti, vengono con l’accordatore e pensano che io possa fare danni da cinquantamila euro. In realtà solitamente smonto solo il coperchio, che basta tirare, senza danneggiare minimamente lo strumento. E’ solo una cosa che fa scena”. Ad aiutare la carriera di Matthew Lee ha contribuito molto anche il San Severino blues e Mauro Binci, il suo direttore artistico. “Con Mauro siamo proprio amici, mi ricordo che una volta mi accompagnò ad un festival in Normandia e per un disguido ci trovammo il secondo giorno con i bagagli fuori dall’hotel. Fortunatamente Mauro parla bene il francese e, dopo un’arrabbiatura tremenda, riuscì a trovarci un’altra sistemazione. C’è un bel legame con Mauro, quindi è ovvio che quando il San Severino blues mi chiama, più o meno una volta al mese, io rispondo con piacere”.